Categorie
Resto del mondo

Guida megagalattica al calcio in Afghanistan

Diritti civili, tradizione e sport si intrecciano nella nostra Guida galattica sul mondo del calcio in Afghanistan

Negli ultimi decenni sono cresciuti in competitività e organizzazione i movimenti calcistici nazionali dei più disparati angoli del pianeta. Eppure in Asia, sull’appendice più occidentale dell’altopiano dell’Himalaya vi è uno stato in cui le lancette dell’orologio del progresso paiono essersi fermate. O addirittura, visti i recenti sviluppi, portate indietro nel tempo. E quando in gioco ci sono la vita delle persone e i propri innegabili diritti, anche le traiettorie dei palloni sui campi da calcio vanno ad intrecciarsi con le travagliate e violente vicende interne all’Afghanistan.

Forse era vero. L’Afghanistan era un paese senza speranza

Sentenziava così sul suo paese Khaled Hosseini, autore del “Cacciatore di Aquiloni”, primo di tanti bestseller che, attraverso le emozionanti vicende dei suoi protagonisti, ci hanno raccontato oltre cinquant’anni di storia afghana. L’Accordo di Doha firmato nel 2020 prevedeva il ritiro di tutte le milizie straniere dall’Afghanistan entro l’anno successivo, sancendo con esso il fallimento della ventennale occupazione statunitense sulla nazione.

Voluta da George Bush dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, ha portato all’abbattimento del nemico nazionale Osama Bin Laden. Ma ha consegnato nuovamente l’Afghanistan ai Talebani, gruppo militare nato con l’intento di fare della nazione una totale teocrazia islamica. Verrebbe da sorridere amaro se non fosse per i tragici contorni della vicenda.

Fu proprio il governo statunitense, solo pochi anni prima, a finanziare l’ascesa talebana al potere, quando gli stessi ribaltarono il governo filo-sovietico, inviso agli USA. Nell’agosto del 2021, marciando trionfalmente su Kabul, i talebani hanno ripreso il controllo sulla nazione, riportando così il popolo ai principi repressivi e violenti del radicalismo islamico. Le parole di Hosseini risultano dunque quanto mai profetiche. E volgendo uno sguardo al futuro, l’orizzonte pare ancora più cupo.

La situazione di instabilità politica in cui perdura da decenni ha reso l’Afghanistan, secondo World Population, lo stato più povero d’Asia. Con il 90% della popolazione al di sotto della soglia minima di sopravvivenza. Il paese pullula di bambini resi orfani dalla guerra troppo presto, con madri incapaci di mantenerli in quanto il regime non consente loro di lavorare, studiare o praticare qualsiasi attività sportiva, considerata immorale.

Non essendo riconosciuto dalle Nazioni Unite a causa del mancato rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, il regime talebano sta isolando l’Afghanistan dal resto del mondo, ergendolo ad ultimo baluardo di un’ideologia mai attuabile, in un paese peraltro già pieno di ferite mai cicatrizzate.

PSM SPORT È MEDIAPARTNER DI SOTTOPORTA, VISITA IL SITO WWW.PSMSPORT.IT

Sport in Afghanistan, tra capre e mazze da cricket

In un ambiente così poco fertile, ovviamente, lo sviluppo dello sport professionistico risulta altrettanto complesso. Basti pensare che in tutta la storia olimpica di un paese con oltre 50 milioni di persone, soltanto il taekwondoka Rohullah Nikpai è stato capace di tornare a Kabul con una medaglia al collo, vincendo due bronzi nelle edizioni 2008 e 2012.

Fino agli anni ottanta erano due gli sport più amati dagli afgani: il calcio e il buzkashi.

Importato dai Mongoli dell’iconico Gengis Khan, il Buzkashi ( letteralmente “Acchiappa la capra”) è uno sport particolare. Esso prevede due squadre a cavallo contendersi su un vasto campo polveroso una carcassa di pecora, con l’obiettivo di infilarla nella meta avversaria, generalmente un pozzo. Considerato troppo violento dal primo regime talebano, venne vietato sul finire degli anni ‘90. Ha lasciato così un vuoto nella cultura popolare che verrà riempito dalla contemporanea esplosione del cricket.

Il 15 dicembre 2011, il Comitato olimpico afghano ha celebrato la riapertura del rinnovato Ghazi Stadium di Kabul, con il suo nuovo campo in erba. (https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Ahmad_Faisal_-_football_-_D.jpg#mw-jump-to-license Fonte: Proprio lavoro. Autore: Ahmad Faisal)

E già, perché il movimento del cricket è l’oasi felice di un panorama sportivo obiettivamente scadente. La rappresentativa afgana è entrata nelle prime dieci del ranking e nell’ottobre di quest’anno disputerà in India il suo secondo mondiale consecutivo.

Le basi fondanti di questa escalation controcorrente vanno ricercate ancora una volta nella tortuosa storia del paese. A partire dagli anni ‘80, con l’inizio dell’occupazione sovietica prima e dello scoppio della guerra civile poi, è iniziata una vera e propria diaspora. Buona parte dei 9 milioni di afghani scappati all’estero sono stati rifugiati nel confinante Pakistan, paese in cui, come tradizione di molte nazioni del Commonwealth, il cricket va per la maggiore. Ed è proprio qui, nei tanti campi profughi sparsi tra Islamabad e Karachi, che migliaia di afghani si sono innamorati di questo sport. Fra loro, tanti giovani ribelli di etnia pashtun (la più numerosa etnia afgana) con idee politiche fortemente conservatrici e fondamentaliste che, una volta rientrati in Afghanistan, prenderanno il nome di Talebani. 

Grazie alle imprese della star internazionale Rashid Khan e dei suoi compagni, la nazionale di cricket è diventata un vero e proprio simbolo di unità nazionale.

Stampo sovietico, figli di Svezia e approccio USA

Sebbene collocato in una delle zone geografiche meno ferventi di passione pallonara, il calcio era uno degli argomenti preferiti fra gli uomini afgani. La federazione del gioco nacque già nel 1921 ma venne affiliata alla FIFA solo nel 1948. A quel tempo la selezione partecipò alle qualificazioni per il torneo olimpico, venendo estromessa dal Lussemburgo al primo turno con un rotondo 6-0.

Nazionale di calcio dell’Afghanistan negli anni ’20 (https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Afghanistan_national_football_team_in_1920s_-_in_Kabul,_Afghanistan.jpg#mw-jump-to-license Fonte: Durrani media. Autore: Lais Aseckzai)

L’organizzazione del calcio in campionati regionali impedì la creazione di una massima serie e l’interesse finì per ricadere sul girone della capitale Kabul, con diverse squadre a contendersi il trono della città nel celebre stadio Ghazi. Impianto celebre purtroppo per le molteplici esecuzioni eseguite pubblicamente dai talebani, con migliaia di spettatori costretti ad assistere inermi a lapidazioni e fucilazioni di ladri e adulteri. Un calciatore del Sabawoon racconterà che durante un riscaldamento pre-partita scorse con orrore vicino una delle bandierine mezza dozzina di mani amputate. 

Fra le squadre più importanti del torneo di Kabul è doveroso menzionare l’Ariana. È il secondo club più antico del paese e primo per affermazioni, ben dieci, conquistate a cavallo fra gli anni ‘40 e ‘50. Sebbene ormai scomparso, l’Ariana ha trovato una sorta di continuità nella lontana Svezia. Nel 2015 infatti, diversi rifugiati afgani giunti a Malmö, memori delle lontane imprese della compagine, hanno fondato l’FC Ariana, il cui logo rievoca palesemente la bandiera nazionale. Dopo alcune difficoltà iniziali il club si è stabilizzato in terza serie svedese, permettendo così a diversi afgani di ricevere la convocazione in nazionale. Due tra questi il trequartista Omid Popalzay, l’attuale portiere Ovays Azizi, trasferitosi poi all’Hillerod, in seconda serie danese. 

La coalizione occidentale post 2001 ha portato la sua idea di campionato, fondando nel 2012 l’Afghan Premier League e dando vita a sei club di altrettante città. La selezione dei calciatori da inserire nelle rispettive rose è avvenuta tramite un reality show andato in onda sulla rete nazionale chiamato “The Green Field”. Sei delle dieci edizioni disputate sono finite nella bacheca dello Shaheen Amayee, compagine di Kabul il cui bizzarro nome indica una montagna alle spalle della capitale afgana. Il campionato è stato fermato nel 2021 col rientro al potere dei talebani e alcuni calciatori sono stati costretti ad emigrare all’estero.

Allenare la squadra afgana non è come allenare altre squadre in Asia perché tutti i nostri giocatori sono rifugiati.

Nel paese non abbiamo un campionato. A causa della guerra, i giocatori non possono spostarsi da una città all’altra e quindi lasciano il paese per giocare in India, Kirghizistan e Bangladesh, tra gli altri. Molti dei nostri giocatori rifugiati giocano anche in Germania, Olanda e alcuni vengono anche dagli Stati Uniti”.

Anoush Dastgir, ex CT dell’Afghanistan

I Leoni dalla criniera abbassata

I “Leoni di Khorasan” non hanno mai partecipato ad una Coppa d’Asia e tanto meno ad una fase finale mondiale. L’Afghanistan non ha potuto giocare partite internazionali dal 1984 al 2002, a causa degli ultimi anni della guerra sovietico-afghana, della guerra civile in Afghanistan (1992-1996) e del ban del regime talebano di attività ricreative, calcio compreso.

Sebbene fosse affiliato alla FIFA dal 1948, solamente nel 2003 l’Afghanistan ha potuto partecipare ad una campagna di qualificazione alla Coppa del Mondo, quella dell’edizione 2006. Per dover di cronaca ha giocato contro il Turkmenistan e ha perso per un totale di 13-0.

Scatto della partita contro il Turkmenistan
APF PHOTO / FILES / SHAH Maria (https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Afg-tkm-2003.jpg#mw-jump-to-license, Fonte: Proprio lavoro. Autore: ShMa75

La vittoria della Coppa dei Paesi Sud Asiatici nel 2013 (Coppa SAFF) e una sfiorata qualificazione alla Coppa d’Asia avevano sottolineato un miglioramento complessivo vanificato poi dalle ultime uscite e dagli ennesimi stravolgimenti interni al paese, contorniato dalle consuete storie di violenza.

Lo storico ct della selezione Mohammad Kargar infatti, il 10 maggio 2015 viene ridotto in fin di vita da due malviventi con oltre dieci coltellate. Questo episodio ha dato il via ad una girandola di commissari tecnici che ha portato sulla panchina afgana anche un santone del calcio internazionale come Otto Pfister.

I Leoni di Khorasan giocano all’estero per motivi di sicurezza. Non hanno praticamente mai potuto godere della spinta del proprio pubblico, avendo disputato in patria soltanto rarissimi match nel corso del nuovo millennio. Uno di questi è stato nell’agosto 2013, prima del campionato SAFF. L’Afghanistan ha giocato contro il Pakistan in un’amichevole approvata dalla FIFA per la prima volta in 36 anni e vinta per 3-0 con goal di Ahmadi, Hatifi e Mohammadi.

Ancora più grave è lo stop di un campionato nazionale da cui attingere forze fresche. Ciò comporta l’utilizzo esclusivo di afghani militanti in svariate parti del mondo, per lo più semiprofessionisti cresciuti all’estero da rifugiati di guerra. Fattore non da poco, visti i costi elevati che esso comporta, per una federazione dal budget limitato, considerando che il regime sta investendo per lo più nel cricket i pochi fondi destinati allo sport.

Volti e storie del calcio afghano

Nel panorama internazionale non mancano calciatori afgani di buon livello che, vista la delicata situazione del paese d’origine, optano per la seconda nazionalità. In primis troviamo il noto centrocampista tedesco Nadiem Amiri e il prospetto danese Walid Faghir, classe ‘03 appena rientrato allo Stoccarda dopo il prestito stagionale al Nordsjaelland.

Amiri, passato per qualche mese nel 2022 al Genoa ha vinto l’Europeo Under 21 del 2017. Poi ha collezionato 5 presenze con la Mannschaft, precludendo definitivamente all’Afghanistan la presenza in rosa di un elemento di caratura internazionale. Gli afghani si son dovuti “accontentare” del cugino Zubayr Amiri, trentenne attaccante affermatosi nelle serie minori tedesche.

A lezione di eleganza. La dispensa, con questa magia inflitta all’Eintracht, Nadiem Amiri

Omonimo ma senza gradi di parentela, è anche il capitano dei Leoni di Khorasan Zohib Islam Amiri, recordman di presenze con la nazionale per cui ha esordito nel lontano 2005.

Difensore centrale dal fisico minuto ma esplosivo, si è trasferito dal 2019 in Canada, unendosi al A.S. Blainville, società che negli ultimi cinque anni ha dominato la semiprofessionista Premiére ligue de soccer du Québec. 

Zohib Amiri, eccezion fatta per un’esotica esperienza alle Maldive, ai New Radiant della capitale Malè, ha costruito la sua intera carriera in India. Ha dichiarato infatti in un’intervista di amare lo stile di vita, il cibo e la mentalità indiana fin dal suo primo trasferimento a Mumbai. Difficile trovarsi peggio che in precedenza visto che, nella stessa intervista, Zohib Amiri ha raccontato di quando in patria frequentava lo stadio Ghazi ed era spesso costretto ad assistere alle esecuzioni pubbliche di persone hazara come lui.

Gli hazara sono una minoranza etnica di origine uzbeka da tempo insediatasi in Afghanistan. E’ stata schiavizzata dalle etnie pashtun fino a quando non è cominciata una vera e propria persecuzione razziale. Ovvero quella vissuta e raccontata da Zohib, uno di quei capitani per cui la fascia al braccio ha un significato diverso.

Altro leader carismatico di questa nazionale, nonché miglior marcatore all time con 10 centri, è il trequartista mancino Faysal Shayesteh. Il ventitreenne Rahmat Akbari è invece fuggito da bambino con la famiglia in Australia. Lì ha esordito in massima serie con la maglia arancione del Brisbane Roar. Adesso è compagno di squadra di un altro ottimo calciatore afghano Omran Haydary, entrambi tesserati per i georgiani della Torpedo Kutaisi.

Speranze d’Afghanistan

Mentre la selezione maschile non ha mai goduto di una vera e propria stella calcistica, non si può dire lo stesso riguardo il mondo femminile. Khalida Popal e Nadia Nadim sono due autentiche icone dello sport afgano e mondiale.

La Popal è stata fondatrice e capitano della prima squadra femminile della nazione. Anche una volta lontana dall’Afghanistan, ha posto sotto i riflettori la situazione delle sue compatriote, ad esempio, quando ha realizzato con Hummel delle divise da calcio con l’hijab per le proprie compagne di squadra. Denunciò al mondo inoltre la serie di abusi sessuali subiti dalla squadra, distruggendo di fatto la federazione e costringendo il presidente Karimi alle dimissioni.

La vita di Nadia Nadim è a dir poco romanzesca. Nel 1997 aveva poco meno di dieci anni quando i talebani presero il potere e le cambiarono la vita. Suo padre, il generale dell’esercito afgano Rabani, venne sequestrato e giustiziato nel deserto. Scappò dalla nazione col resto della famiglia e giunse in Danimarca, dove è poi diventata una calciatrice di successo, militando in club come PSG e Manchester City.

Il messaggio d’amore trasmesso al mondo da Nadia Nadim è ben più significativo di questo rivolto ai tifosi il giorno della sua presentazione a Parigi

Nel frattempo ha conseguito la laurea in medicina, con la promessa di iniziare a lavorare per Medici Senza Frontiere una volta appesi gli scarpini. Sebbene abbia rappresentato a livello internazionale la Danimarca, con cui ha giocato più di cento partite (40 reti), la Nadim è un vero e proprio esempio per le perseguitate ragazze afghane, desiderose anche loro di poter decidere sul proprio futuro, che sia in Afghanistan, si spera, o altrove.

I successi personali della Nadim e della Popal hanno rappresentato sicuramente una delle armi pacifiste più potenti e altisonanti scagliate contro il regime talebano, dimostrando con idee e gol quanto possano valere le donne afghane.

La situazione resta in divenire, come testimonia la recente riunione internazionale tenutasi ad aprile a Doha sul futuro del paese. I vertici delle Nazioni Unite disposti a riconoscere il governo talebano a patto che questi annullino i divieti imposti alle donne. Ai posteri dunque l’ardua sentenza, con l’auspicio che Hosseini si sbagliasse sulle speranze dell’Afghanistan. E chissà se, un giorno, i Leoni di Khorasan possano finalmente iniziare a ruggire davvero.


Il meglio del calcio internazionale è su Sottoporta: Anche Khéphren Thuram è pronto a trasferirsi in una big

Immagine di copertina realizzata da PSM SPORT

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *