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Málaga: quando una proprietà miliardaria ti condanna

Si discute sempre più spesso di quanto un cambio di proprietà possa essere impattante e stravolgente per una società di calcio, soprattutto qualora l’acquirente sia miliardario. Si presuppone che solitamente tale processo sia positivo; il caso del Málaga, invece, testimonia l’altro risvolto della medaglia.

Felipe Santana è un calciatore indimenticabile. A differenza di tanti altri non per le sue prestazioni, o meglio, non solo. Nella memoria degli appassionati di calcio, il ricordo di Felipe Santana è indissolubilmente legato ad un Borussia Dortmund-Málaga dei quarti di finale di Champions League. Correva l’anno 2013 e all’andata, in Andalusia, era finita 0-0. Lo spettacolo si concentra tutto al ritorno. Spinto dal muro giallo, emerge il lato più folle del calcio di Jürgen Klopp nell’élite del calcio europeo. Sotto 1-2 fino al novantesimo, nel recupero il BVB segna due gol e raggiunge la semifinale. La marcatura decisiva la segna proprio Felipe Santana, in palese fuorigioco, entrando a pieno titolo nell’albo dei momenti epici della Champions League.

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Sembra passata una vita da quando, in una partita di quel livello, si potevano segnare ben due reti irregolari. Anche l’1-2 di Eliseu del Málaga era da annullare per fuorigioco. In questi dieci anni non è arrivato solo il VAR. Abbiamo assistito alla parabola eccezionale di Klopp, che ha vinto tutto con il Liverpool, cambiando il calcio contemporaneo. Il Borussia Dortmund invece è ancora secondo dietro al Bayern Monaco, oggi come allora, nonostante i tentativi dei vari Sancho, Haaland e Bellingham. La parabola più catastrofica però è stata sicuramente quella del Málaga. Cinque anni dopo il gol di Santana è retrocesso in Segunda División, mentre nell’ultima stagione è sceso di un’altra categoria, in Tercera.

L’ascesa del Málaga e i Mondiali in Qatar

Paradossalmente, la salita del Málaga ai massimi livelli era stata molto più rapida di quanto non sia stata la discesa negli inferi. Nel giugno 2010 il club andaluso era stato tra i fortunati a vincere la lotteria degli sceicchi, alla pari di Paris Saint-Germain e Manchester City. O almeno così sembrava. Faceva tutto parte di un disegno più grande da parte dell’emirato qatariota degli Al Thani, finalizzato a portare i Mondiali di calcio in Medio Oriente.

L’ufficialità del Mondiale in Qatar è arrivata nel dicembre 2010, ma nel piano della famiglia reale i club (PSG e Málaga, ndr) sarebbero stati il mezzo attraverso cui attirare endorsement e/o accordi commerciali con calciatori, allenatori e così via, in preparazione del Mondiale arabo. Per quanto la cosa sia più complessa di così, il giochino sembra aver funzionato talmente bene che oggi l’Arabia Saudita lo sta ripetendo con i propri club nazionali in prospettiva 2030, strapagando i vari Cristiano Ronaldo, Benzema e Kanté.

Il Málaga, dicevamo, faceva parte di questo progetto. Anzi ne era al centro, in quanto unico club controllato direttamente dalla famiglia reale (il PSG è di proprietà qatariota, ma Nasser Al-Khelaifi non fa parte della dinastia regnante), ossia da Abdullah Al Thani. Dopo una stagione di transizione, il Málaga inizia la sua carrellata di investimenti e raggiunge la prima, storica qualificazione in Champions League della sua storia – la stessa che si andrà a infrangere contro il muro giallo. Il club aveva individuato in Manuel Pellegrini l’uomo giusto per guidare una crescita sostenuta a suon di campioni. Isco, Toulalan, van Nistelrooy, Santi Cazorla, Joaquín, Monreal: a La Rosaleda nel 2012 c’era un accumulo notevole di talento.

Il Málaga prima di una partita di Champions contro lo Zenit. (Fonte: fc-zenit.ru/ Autore: Вячеслав Евдокимов). Foto tratta da https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Malaga-Zenit_2012_(11).jpg#mw-jump-to-license

Le noie dell’Occidente, la tirannia di Al Thani

Quello che nessuno poteva sapere nel 2012 era che dietro la crescita eccezionale del Málaga c’era una proprietà sì mecenatica, ma anche poco abituata alle noie democratiche dell’Occidente. Il piano di Al Thani era di costruire un nuovo stadio per il club, all’interno di un villaggio commerciale, per rendere il Málaga una macchina da soldi che avrebbe potuto fare comodo anche dopo i Mondiali del 2022. Qui però Al Thani ha incontrato le burocrazie dell’Occidente per la prima volta. La politica spagnola gli faceva perdere troppo tempo per i suoi standard. A Dortmund, invece, Felipe Santana rivelava ad Al Thani l’umanità degli arbitri. Non dev’essere stata una piacevole scoperta per il proprietario del Málaga, che il giorno dopo aveva chiesto ufficialmente di rigiocare la partita, nonostante gli spagnoli avessero segnato pure loro in fuorigioco.

La UEFA non solo si era rifiutata di ripetere i quarti di finale, ma aveva in serbo altre brutte notizie per il Málaga. Il club aveva violato più o meno tutte le norme del Fair Play Finanziario, motivo per cui sarebbe stato escluso dall’Europa League per la stagione 2013-14. È la goccia che fa traboccare il vaso. Al Thani deve aver pensato che investire nel calcio sia stato un errore, che bisogni fare marcia indietro. Anche il resto della famiglia reale era d’accordo. Un club sarebbe comunque stato sufficiente per alimentare il proprio soft power nel calcio europeo. A questo punto, l’aspettativa quindi era che Abdullah Al Thani accettasse di vendere il Málaga al migliore offerente. Non dovrebbe sorprendere scoprire che Al Thani non ha seguito le aspettative.

In altre parole, Al Thani non è un imprenditore o un vero appassionato di calcio, ma “semplicemente” un membro di una famiglia reale. E perciò rispetto al Málaga si è comportato esattamente come fanno da sempre i tiranni. Egli ha tenuto in vita il club, ma lo ha privato di tutte le sue risorse. Già nel 2014 tutti i grandi calciatori menzionati in precedenza avevano salutato l’Andalusia, spesso per cifre risibili, dando l’impressione che il club non stesse contrattando più di tanto. Una possibile spiegazione, ancora, è che Al Thani volesse semplicemente recuperare soldi in fretta. A questo punto, il declino sportivo del club è stato inevitabile, seppur rallentato da qualche colpo di genio nello scouting (Fornals, En-Nesyri).

Un presente triste, un futuro assente

La pandemia ha poi peggiorato ulteriormente la situazione. Nel 2020 è venuto fuori che il Málaga ha prestato 7,3 milioni di euro ad Al Thani, ma i tribunali spagnoli non hanno rilevato irregolarità perseguibili nella faccenda. Non risulta che il presidente abbia mai restituito la cifra al club, chiaramente.

Ad agosto dello stesso anno, il Málaga è stato costretto a rilasciare tutti i calciatori che non hanno accettato un taglio dell’80% sullo stipendio causato dalla sospensione delle partite. Poco più di un’accelerata in un percorso di decadenza ormai irreversibile, mentre Al Thani tutt’oggi dichiara che non cederà mai la proprietà della squadra andalusa.

E così un gol in fuorigioco sembra aver condannato per sempre il Málaga. Un intervento delle autorità sportive in questo contesto è difficile da immaginare, dato che bisognerebbe pestare i piedi al governo del Qatar, sempre più allineato a UEFA (Al-Khelaifi è un alleato strategico di Čeferin contro la Superlega) e FIFA (per tutta la vicenda dei Mondiali).

Anche in altre condizioni, comunque, la faccenda sarebbe complessa perché Al Thani non sembra aver commesso infrazioni tali da pregiudicarne la legalità della sua posizione come presidente. A rimetterci è quindi una squadra importante nella storia del calcio spagnolo, che affronta un destino sempre più difficile.


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