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Xavi: l’identità del Barça

Il triste naufragio del progetto tecnico di Ronald Koeman, ha costretto Joan Laporta, il cui consenso è ai minimi termini nonostante la fresca vittoria elettorale, a richiamare alla base il leggendario centrocampista catalano. Reduce dall’esperienza più che positiva in Qatar con l’Al-Sadd, Xavi avrà l’arduo compito di riportare il Barcellona dove più compete ai blaugrana.

Un lungo corteggiamento, se ne parla da almeno due anni. La clausola di rescissione del contratto che legava Xavi e Al-Sadd pagata in compartecipazione con lo stesso allenatore catalano. Poi, finalmente, le firme sul nuovo accordo col Barça. Il ritorno del figliol prodigo alla corte del Camp Nou è la notizia delle ultime settimane in Liga. Col Barcellona attardato in classifica, Joan Laporta ha deciso che era tempo di interrompere il rapporto con Koeman, mai davvero decollato, virando
sul nuovo che avanza. Che tanto nuovo poi non è.
Xavi Hernandez è stato per oltre un decennio e mezzo il volto, ma anche il rappresentante più puro dell’identità catalana del Barcellona più vincente di sempre. Ha attraversato l’epoca dei migliori allenatori della storia recente dei blaugrana. Ha unito l’anima olandese creata da Johan Cruijff con quella dei canterani de La Masia. È stato l’alfiere dell’idea di calcio di Guardiola.


Centrocampista centrale, regista, interno, talvolta mezzala, Xavi ha incarnato più di chiunque altro l’idea di possesso applicata alla realizzazione di un vantaggio sul campo. Quella stessa idea – per
favore non chiamatela tiqui-taca – che tenterà di traslare nella sua nuova esperienza da capo-allenatore del club culé.


Xavi è stato estremamente chiaro, sia nella conferenza stampa di presentazione, un evento che sapeva di rendez vous tra vecchi innamorati, sia nei vari interventi sul web (come quello sul canale The Coaches’ Voice) che, quasi in maniera profetica, hanno preceduto il suo ritorno in Europa. Il
senso del possesso, per parafrasare una nota canzone di Franco Battiato, è il mito su cui fondare un’intera scuola di pensiero. Il neo-allenatore catalano ne è completamente pervaso, ossessionato.
Il controllo del pallone, del ritmo di gioco, non ha solo valenza conservativa (chi ha la palla e non la perde, non può subire attacchi dagli avversari), ma attraverso i “triangoli” ideali formati a tutto campo, ha la finalità di creare superiorità numerica, occasioni, gol. È un possesso attivo e proattivo, ovvero capace di rispondere a ciò che la difesa, inevitabilmente, concederà.

L’idea di Xavi è quella di muovere pallone e pedine, come in un gioco di scacchi, fino a penetrare attraverso le linee avversarie. Lo sa bene il bomber algerino Baghdad Bounedjah, che con l’Al-Sadd ha segnato raffiche di gol, tanto da guadagnarsi l’etichetta di attaccante più letale d’Asia, lui che in patria è considerato un totem. Un giocatore troppo forte per il campionato qatariota, un pupillo del tecnico catalano che, si vocifera, lo vorrebbe addirittura con sé a Barcellona.

Dove ha fallito Koeman

Ronald Koeman è stato un uomo coraggioso, bisogna dargliene atto. Ha scelto di lasciare la panchina della nazionale olandese, senza attendere di poterla guidare agli Europei, per accettare un Barcellona in piena crisi. Societaria anzitutto, con l’ex presidente Bartomeu ai ferri corti con i supporter culé e con un Messi che aveva chiesto la cessione. Di risultati, perché il Barcellona veniva dal clamoroso 2-8 in Champions contro il Bayern Monaco. Finanziaria, poiché cominciava a profilarsi all’orizzonte l’impossibilità di trattenere tutti i campioni e di poter rifondare il club attraverso la spesa sul mercato, anche alla luce dei paletti salariali imposti dalla Liga. Problemi che il successivo fallimento sul nascere del progetto Superlega non ha fatto altro che acuire.

Una crisi, questa, che si sarebbe manifestata con forza ancora maggiore alla fine di una stagione avara di successi per il club. Per quanto la Coppa del Re, vinta grazie a uno stratosferico Messi, abbia quantomeno aggiunto un trofeo in bacheca. In Liga, l’Atletico Madrid campione e il Real si sono dimostrati più forti. Con l’uscita di scena di Messi, nonostante le promesse della presidenza Laporta, era chiaro che il disegno tecnico di Koeman avrebbe subito un ulteriore stop.

Abbiamo parlato dell’identità catalana e olandese del club. Koeman se ne era fatto portavoce, da discepolo di Cruijff e da campione capace di marchiare, ferendo migliaia di tifosi doriani, una finale di Coppa Campioni. Del resto, l’acquisto di Depay in attacco e le chiavi del centrocampo donate a Frenkie de Jong, erano due mosse nella giusta direzione. Calciatori come Pedri, che nella scorsa stagione ha giocato più di chiunque altro in Europa (e che ora ne sta pagando le conseguenze a livello fisico); e Gavi, arrivato in nazionale praticamente dal nulla, sono talenti della cantera lanciati proprio da Koeman.

L’allenatore olandese ha però fallito non solo nei risultati, ma anche nella capacità di fondere le diverse anime del club e della rosa, finendo per attrarsi le antipatie dei tifosi, di Laporta (che corteggiava da tempo Xavi) e dei senatori della squadra. Se Piqué ha imboccato forse la fase calante della sua carriera, il “vecchio” Busquets ha dimostrato in nazionale che, nonostante l’età, è ancora un calciatore centrale nell’economia della squadra. Il Barcellona non ha saputo reggere, in questo inizio di stagione, l’urto della partenza di Messi. Per di più, gli infortuni di Dembelé e Ansu Fati, da un anno più in infermeria che sul prato verde, hanno letteralmente tarpato le ali dell’attacco. I debiti del club sono inversamente proporzionali alla qualità complessiva della rosa. Ci sono ottimi elementi e future star. Con Koeman sono mancate però del tutto la qualità di gioco e la mentalità da grande club.

Real Madrid e Atletico sembrano da due stagioni e mezza di un altro pianeta. In Europa il Barcellona è uscito dalle migliori 8. Persino la neopromossa Rayo si è permessa di battere gli ultimi chiodi sulla bara del progetto Koeman. Il 28 ottobre, solo 14 mesi dopo il suo insediamento, “Rambo” è stato sollevato dal suo incarico.

Quale futuro per il Barcellona di Xavi

“Vorrei allenare Messi, Eto’o e Ronaldinho”. La provocazione di Xavi nella conferenza stampa del suo ritorno, non nasce per caso. L’ex centrocampista campione di tutto col Barça e con le Furie Rosse, sa che il suo club, “més que un club”, ha bisogno di talento per vincere. Ha giocato con e contro i migliori. Condivideva il centrocampo con Iniesta, Rakitic, Busquets, Mascherano. Sa che l’organizzazione non basta, non basterà da sola.

Quando il Barcellona acquistò Cruijff nel 1973, in un momento in cui la notte della dittatura franchista era più buia, ovvero a ridosso dell’alba che ne sanciva la fine, i catalani non vincevano la Liga da 14 anni. Il fuoriclasse olandese mise in atto una rivoluzione tecnica e culturale, vincendo il campionato del 1973-74, che ha registrato la sua onda lunga fino ai giorni nostri. Fu proprio Cruijff da allenatore a portare il Barcellona di Ronald Koeman sul tetto d’Europa nel 1992 a Wembley.

Il Calcio Totale si era impadronito dell’anima dei tifosi blaugrana. Ed era destinato a dare frutti maturi. Guardiola, Luis Enrique, sono figli di quell’idea vincente che fuori dai confini catalani viene osannata, copiata, bistrattata, talvolta ridotta a ciò che non è. Xavi ha ricordato come lo schema di gioco dipenderà molto dalla caratura delle squadre affrontate. Il 4-3-3 all’olandese non sarà il mantra. Nell’Al-Sadd la disposizione tattica era perlopiù un 3-4-3 in partenza, con difesa molto coperta al centro, un centrocampo a rombo capace di congelare il possesso e verticalizzare rapidamente in profondità, una volta generati i varchi giusti. Ma come ha sottolineato lo stesso allenatore, l’Al-Sadd era quasi sempre molto più forte degli avversari a livello tecnico.

In porta Ter-Stegen è la certezza. Così come a sinistra Jordi Alba è inamovibile. Al netto della sua condizione fisica, troverà spazio lo statunitense (ma calcisticamente quasi del tutto olandese) Dest a destra, con Mingueza pronto soprattutto contro squadre più offensive sulle ali. Xavi ha fatto presente che si aspetta molto dai giovani, ma ancor più dai veterani. Anche in questo senso si spiega un altro ritorno romantico al Camp Nou. Il Barça ha appena firmato Dani Alves, uno dei calciatori più titolati al mondo. Dopo aver rescisso col São Paulo era rimasto senza squadra.

La mentalità vincente e la disciplina saranno cruciali nello sviluppo del capitale umano a disposizione di Xavi. Parliamo di una squadra che a Vigo col Celta, nell’ultimo turno, era in vantaggio per 3-0 a fine primo tempo, ma ha finito per farsi rimontare fino al pari di Iago Aspas al settimo di recupero. Il Barcellona è a 11 punti dalla Real Sociedad prima e a 10 dal Real Madrid. Non vince dal 17 ottobre (3-1 al Valencia), e ha collezionato 4 vittorie, 5 pareggi e 3 sconfitte (contro le 3 squadre di Madrid!) in 12 partite, perdendo senza appello il Clasico in casa. Un disastro.

In una squadra così psicologicamente debole, Xavi dovrà lavorare tantissimo sulla testa. Piqué e Busquets dovrebbero quindi giocare con continuità, in modo da fungere da traino per le nuove leve dallo spogliatoio al campo. Eric Garcia, ex pupillo di Guardiola, è un difensore su cui la Spagna punta molto. Luis Enrique ne ha fatto un titolare e Koeman ha proseguito su questa scia. I risultati per adesso hanno dato ragione solo in parte ai tecnici. Koeman ha accantonato i francesi Lenglet e Umtiti, cercando di dare spazio a Garcia e Araujo di fianco a Piqué. L’impressione è che le cose potrebbero cambiare: il Barcellona ha bisogno di esperienza e di una coppia centrale solida.

A centrocampo, infortuni permettendo, le note più liete. Pedri e Gavi hanno il supporto di Busquets e de Jong. Difficile trovare di meglio quanto a sostenibilità. Il Barça si è disfatto di Ilaix Moriba, passato all’RB Lipsia, a malincuore, ma c’è da dire che difficilmente avrebbe avuto minuti a sufficienza con le attuali gerarchie.

In avanti, la condizione di Ansu Fati e Dembelé sarà determinante. Con Aguero fuori almeno 3 mesi per il problema di aritmia cardiaca diagnosticato due settimane fa, il centro dell’attacco è nei piedi di Depay, centravanti arretrato, regista offensivo della squadra, che ha a tutti gli effetti preso il posto di Messi occupando però stabilmente una posizione più centrale. L’argentino partiva preferibilmente da sinistra per poi andare a far male con gli scambi nello stretto a ridosso della sedici metri centrale avversaria. Il Barcellona del dopo-Suarez non ha però trovato con Griezmann le giuste misure, con l’ex Real Sociedad che si pestava spesso i piedi sia con Messi che con Depay. Il francese è tornato all’Atletico nonostante un investimento da oltre 120 milioni, col Barça che ha preferito risparmiare l’ennesimo ingaggio di un top player piuttosto che tenere in rosa un campione mai veramente a suo agio in blaugrana.

Il Barça visto da Xavi vuole farsi promotore di un gioco offensivo, con una linea difensiva alta e con la capacità di aggredire i portatori di palla, nonché di riconquistare la sfera quanto più possibile vicino alla porta avversaria. Non è certo un’idea di calcio nuova in Europa. Ma il Barcellona di Koeman era incapace di attuare questi principi di gioco tipici di una grande squadra europea.

Xavi è consapevole che il Barcellona dovrà rifondare sul blocco di veterani e sul mix con i canterani. Sono stati questi ultimi, grazie alla generazione irripetibile dei Puyol, Messi, Iniesta, Piqué e dello stesso Xavi, a fare le fortune del club negli ultimi vent’anni. Per quanto sia arduo trovare talenti di questo livello, il Barcellona deve riprendere quell’idea di cantera alternativa, e non combinata, alla cartera (il portafogli) che ormai piange lacrime amare. Già dalla prossima partita dopo la pausa Nazionali, contro l’Espanyol nel derby, scopriremo se Xavi avrà saputo toccare le corde giuste, risvegliando le ambizioni sopite di club e giocatori.


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Immagine di copertina tratta da: profilo Facebook ufficiale FC Barcelona

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