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Perché non accettiamo Mino Raiola?

Sulla scia della protesta popolare contro la Super Lega, sono riemerse con maggior vigore le critiche contro Mino Raiola, un personaggio che non riusciamo proprio ad accettare.

Il dibattito pubblico sul ruolo dell’agente nel mondo del calcio è fortemente polarizzato e, talvolta, appare addirittura squilibrato. Personaggi come Mino Raiola sono additati come alcuni tra i maggiori responsabili di un modo di vivere il calcio non romantico e fin troppo cinico. È proprio la franchezza di Raiola a irritare nella maggior parte dei casi.

Il calcio non è più un semplice sport, ma un business, un’industria che genera una mole di profitti enorme e che dà lavoro a decine di migliaia di persone, se ci limitiamo ad analizzare solo il vertice della piramide. La mancanza di attaccamento a dei valori ideali e astratti che riguardano il concetto-calcio è ciò che rende un personaggio come Raiola bersaglio degli attacchi più feroci. Eppure, siamo davvero sicuri che sia proprio così?

L’ultima intervista

Ad alimentare le polemiche sul personaggio di Mino Raiola ha contribuito l’ultima intervista rilasciata al quotidiano spagnolo As. Il procuratore italiano ha trattato principalmente due temi, particolarmente cari ad una sponda di Madrid: il futuro di Erling Haaland e la vicenda Super Lega. Se riguardo al futuro dell’attaccante norvegese è stato piuttosto elusivo, con il secondo argomento di discussione si è mostrato nettamente più deciso.

“Se possedessi un club, vorrei che la mia squadra giocasse in Super League e anche in Champions League… e ovviamente nei campionati nazionali. Per i calciatori sarebbe un bene, per i tifosi anche. Questa competizione [la Super Lega, ndr] costringerebbe gli organizzatori a realizzare tornei realmente attraenti. Oggi non è così: se qualcuno vuole guardare il calcio ai massimi livelli, ha la Champions League… e basta.”

Un estratto dell’intervista di Raiola ai microfoni spagnoli

Questo è stato uno dei punti che ha generato le proteste più veementi. Non serve dilungarsi ulteriormente sul tema Super Lega, riguardo al quale fiumi di inchiostro sono stati versati. Del resto, la maggior parte delle critiche si poggia su una conoscenza approssimativa dell’intero sistema alla base della nuova competizione e sulle manovre che hanno portato alla sua improvvisa nascita e al repentino declino. Le dichiarazioni di Raiola sono state fortemente travisate da un’opinione pubblica che sembra ormai partire prevenuta nei confronti dell’agente campano.

Come si suol dire, quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Così l’intera diatriba volge sui presunti valori del calcio o su slogan svuotati di alcun significato ancor prima di essere utilizzati, ma non riesce a spingersi ad analizzare la situazione più in profondità. Non si riesce a comprendere bene che alla base dell’attuale sistema calcistico europeo ci siano dei problemi di fondo, quasi endemici, che pregiudicano qualsiasi tentativo di riforma dello stesso. E, soprattutto, non si riesce a capire che Raiola parla da elemento interno al suddetto sistema e che vuole indicare quegli stessi problemi che affliggono il sistema-calcio, mentre tutti noi ci limitiamo a guardare il dito.

Cos’altro ha dichiarato Mino Raiola?

Super Lega, FIFA e UEFA, il ruolo dei procuratori nell’intera organizzazione: questa intervista è fondamentale per conoscere attentamente il personaggio di Raiola e, probabilmente, cosa abbia portato alla creazione del più grande bluff della storia del pallone. La prima osservazione è già un punto cardinale e di fondamentale importanza: l’errore degli organizzatori è stato quello di imporre un aut aut, di tentare di escludere la Champions League. L’obiettivo principale di Raiola rimane la competitività. La stessa provocazione della Super Lega verte su questo: stimolare la creazione di tornei che sappiano attirare davvero i tifosi. Questa affermazione può apparire scontata, ma nasconde un messaggio più preoccupante. La maggior parte delle grandi società viene gestita in maniera approssimativa all’interno di un sistema iniquo, che finisce per premiare poche elette e relegare al ruolo di comparse le squadre minori.

Sistema iniquo che non sarà sovvertito dalla Super Lega e che ha problemi endemici di lunga data, fomentati da misure fallimentari sia a livello nazionale che internazionale. Raiola ha le idee chiare su questo punto: non sarà un’organizzazione elitaria a causare la crisi dell’intero sistema, non sarà un fenomeno estemporaneo, quanto piuttosto uno sgretolamento progressivo dall’interno, che renderà gli squilibri semplicemente insostenibili. Mentre i campionati rischiano di essere preda di oligarchie o addirittura monopoli (il Bayern Monaco in Germania, la Juventus in Italia, il PSG in Francia), le categorie minori, dove gioca la stragrande maggioranza degli sportivi, rischiano di essere abbandonate a se stesse.

Sono i campioni stessi e il fair play finanziario che hanno creato le differenze tra i club grandi e piccoli. Nel caso della Spagna, ci sono quasi sempre le stesse sei squadre che partecipano alle competizioni europee: Real Madrid, Atlético, Barcellona, ​​Siviglia, Villarreal, Valencia. Sono le stesse che condividono sempre poco più di cento milioni di euro che offrono ogni anno Champions ed Europa League. E il divario con gli altri sta diventando sempre più grande.

La Super Lega non è destinata a cancellare i campionati nazionali secondo Raiola

Molti grandi club difettano di una forma precisa di programmazione. La ricerca del nuovo grande nome, del nuovo craque, porta a compiere errori di mercato grossolani che finiscono per gravare su bilanci non rosei delle società e a condizionare le prestazioni in campo della squadra. I campioni sono pochi e concentrati in poche società che possono permetterseli. Questa miopia rischia di causare danni non solo alle squadre, ma anche agli organi della UEFA e della FIFA, organizzazioni sovranazionali incapaci di risolvere i problemi che attanagliano l’universo calcistico. Raiola stesso ha affermato che il potere assoluto corrompe in riferimento alla deviazione di questi organi dai compiti originari di controllo, revisione e protezione delle regole fondamentali di questo sport.

Per me c’è una cosa importante: la FIFA è un’organizzazione che è già caduta in diversi scandali. Se ci si cade una volta, va bene. Ma se gli scandali sono sempre gli stessi ogni quattro o cinque anni, non si tratta più di un incidente, ma già di un modo di agire. Accettiamo che queste persone ci possano governare? È totalmente assurdo. Il problema è se abbiamo un diritto o se ti facciano un favore a lasciarti giocare. Non è possibile che la FIFA decida che qualcuno possa disputare o meno un Mondiale in base al fatto che tu faccia qualcosa di carino o meno ai loro occhi. Stiamo parlando di un’organizzazione molto opaca e chiusa.

L’attacco frontale di Raiola verso la FIFA

Non solo le misure intraprese da FIFA e UEFA si sono rivelate improduttive, ma sarebbero state presto ricoperte da una fastidiosa patina d’ipocrisia. Basti vedere la situazione del FPF: misura che ha colpito squadre provenienti da campionati di secondo piano in Europa, come Fenerbahçe e Galatasaray, ma che non ha impedito al Paris Saint-Germain di spendere oltre 400 milioni di euro per Neymar e Mbappé. Eppure, a questo proposito, l’opinione pubblica pone sulle spalle dei procuratori colpe e responsabilità che non gli spettano. Una delle manovre maggiormente invocate, per esempio, è un salary cap per agenti e calciatori, un tetto massimo alle commissioni e ai bonus: un modello che ha già mostrato tutta la sua inefficienza nell’emergente campionato cinese e che lo stesso Raiola, in questa intervista, ha ribaltato con un’osservazione alquanto interessante.

Possiamo limitare gli stipendi dei calciatori, i trasferimenti, i biglietti per le partite… ma allora perché la FIFA aumenta i soldi degli sponsor, dei diritti televisivi etc… ogni anno? Perché non limitare anche questo?

Raiola su un ipotetico salary cap

È lecito non condividere questa posizione, soprattutto se si fatica ad accettare una visione materialistica del calcio. Tuttavia, non può esserci alcun dibattito senza aver conosciuto anche quelle opinioni lontane dai propri ideali. Soprattutto se provengono, come in questo caso, da qualcuno che conosce a menadito i meccanismi del sistema e che è esperto del settore.

Ma chi è Raiola?

L’agente di David Beckham dovrebbe essere straordinario. Poi, ce n’è un altro… ma è un mafioso.

Thijs Slegers presentò così Mino Raiola ad Ibrahimovic

Ci sono un paio di agenti che semplicemente non mi piacciono e Raiola è uno di questi. Non mi sono fidato di lui sin dal primo momento.

Sir Alex Ferguson

Nel corso della sua carriera, cominciata oltre 25 anni fa, di nemici Raiola se n’è fatti tanti nel mondo del pallone. D’altro canto, soffiare un talento come Paul Pogba a parametro zero e riportarlo nel precedente club, il Manchester United, guadagnando oltre 20 milioni di sterline con una sola commissione, porta ad inimicarsi diverse persone nell’ambiente. Per un agente, che basa il proprio lavoro sul mantenere salde relazioni con i club, solitamente ciò sarebbe piuttosto dannoso. Eppure, nonostante tanti allenatori e dirigenti gli siano avversi, sempre più società e giocatori si rivolgono a lui. Come ha dichiarato ad As, egli intrattiene rapporti frequenti con i DS di Real Madrid e Barcelona, mentre un legame stretto di amicizia lo lega ad Andrea Agnelli e alla Juventus. Raiola si è ritagliato la fama di procuratore estremamente attento ai bisogni dei propri assistiti.

È estremamente leale alle persone che sono nel suo circolo ristretto, ovvero i suoi giocatori. Per lui sono come una famiglia. Questo è il motivo per cui è il negoziatore perfetto: cerchi sempre di ottenere il meglio per la tua famiglia.

Thijs Slegers, The Guardian

Nelle trattative è aggressivo e diretto, talvolta imprevedibile, eppure non dimentica mai di mettere i propri calciatori davanti a tutto. Questo stile è frutto dell’esperienza di tutta la sua vita. Trasferitosi da Nocera Inferiore in Olanda quando era giovanissimo, dopo aver fatto a lungo da lavapiatti nel locale del padre, Raiola si è impegnato per perseguire il proprio sogno di lavorare nel mondo del calcio. Ha studiato Diritto, ha approfondito il proprio bagaglio linguistico, ha sfruttato tutte le occasioni che gli si siano state offerte sin dal principio – il trasferimento di Dennis Bergkamp dall’Ajax all’Inter nel 1993 – e ha costruito il personaggio-Raiola, quello che tutti vorrebbero evitare, ma di cui nessuno può fare a meno. Solitario, intraprendente, buon senso dell’humour, finta aria da mafioso, da cattivo ragazzo per le trattative, ma anche un mentore, capace di instillare una mentalità vincente nei suoi assistiti, come Ibrahimovic, Donnarumma e, attualmente, Erling Haaland.

Non è carino ascoltare sempre i soliti preconcetti. Magari, però, ci si potrebbe anche chiedere: “Se quest’uomo è così avido e cattivo, come mai i suoi giocatori sono tutti felici e disposti a rimanere con lui?” Sarebbe falso affermare che questi pregiudizi non mi disturbino… come puoi giudicare se sono stato un buon agente per Ibrahimovic? L’unico che può farlo è Ibra stesso. Del resto, io non ho potere o influenza: il mio lavoro è di ottenere l’accordo migliore per il mio assistito, niente più di questo. E questo significa provvedere ad un intero range di servizi di che la gente non può immaginare. I miei giocatori non mi definiscono un parassita ed è tutto ciò che conta.

Mino Raiola ai microfoni della BBC

Come mai non riusciamo ad accettare Mino Raiola?

Qual è l’ostacolo che rende così difficile la comprensione di chi sia realmente Mino Raiola? Probabilmente, in parte è colpa nostra, di noi tifosi. È impossibile cogliere gli aspetti più rivoluzionari di quelle trasformazioni ipercinetiche che hanno sconvolto il mondo del calcio. È troppo complicato comprendere che un’epoca sia finita e che, come ha ribadito lui stesso in questa famosa intervista, “…quelli che hanno la vera forza nel calcio sono i giocatori, perché sono loro che generano tutto”. Il mondo del calcio si è arricchito enormemente negli ultimi anni, e lo ha fatto in una maniera disordinata e non paritaria. Ha subìto investimenti da parte dei mercati emergenti, provenienti da nazioni dove non è consolidata una florida tradizione calcistica, ma una altrettanto importante nel campo degli investimenti e del business.

Perché gli americani comprano i club in Europa e gli europei no? Perché qui [in Europa] ci sono i soldi, ma non c’è un tale spirito di investimento nello sport. Se compri un club in Europa, per la gente e per le banche sei pazzo. Un americano, invece, compra il club con un’idea di business, di economia, come nel caso del Liverpool o dello United.

Un altro spunto dell’intervista di Raiola ad As

Forse, il problema non è ancorato solamente al firmamento calcistico. Probabilmente non concepiamo che un proletario emigrante, che parla perfettamente 7 lingue, stimato e apprezzato all’estero, possa fare soldi e gestire un potere tipicamente elitario, ovvero quello di muovere capitale umano e trarne profitto. Raiola ribalta il paradigma borghese dell’accumulazione di capitale. È un cafone, un emigrante meridionale. È grasso e non gioca nemmeno a pallone, quindi tutto ciò che fa è automaticamente sporco. Perché critiche così forti, in Italia, non vengono mosse a Jorge Mendes, per esempio? Magari perché è giovane, un bell’uomo, e non è un immigrato italiano. Cura gli interessi di Cristiano Ronaldo, un’icona planetaria che non è mai rimasta vittima di incidenti diplomatici in sede di rinnovo, come invece è capitato a Donnarumma e a tanti altri assistiti di Mino Raiola. Che forse, allora, il pregiudizio nei confronti del procuratore italiano sia fondamentalmente ingiusto?

Qual è la soluzione?

Come in ogni campo dell’esistenza, il dibattito va gestito e l’opinione pubblica deve essere educata in questo. Le discussioni superficiali e sterili contribuiscono solo a generare confusione attorno ad uno sport che mai è apparso così debole e fragile come nell’ultimo anno. È necessario che i tifosi non abbandonino mai il mondo del pallone. Nessuna società guadagnerebbe alcunché se i tifosi smettessero di seguire i propri club. Il calcio è quello dei tifosi assiepati sulle tribune ad ammirare la propria squadra con qualsiasi condizione atmosferica, su qualsiasi campo, in qualsiasi competizione.

“La FIFA attacca gli agenti per coprire i loro problemi; se esistiamo è perché giocatori e club hanno bisogno di noi”

Mino Raiola, diretto come sempre

Ma i tifosi stessi devono imparare a non idealizzare troppo. Applicare concetti astratti, così labili, ad un movimento in perenne e rapida trasformazione non può che far sentire i tifosi stessi alienati da questo sport. La soluzione sta nel compromesso. Bisogna capire che il movimento calcistico è, così com’è, insostenibile. Ogni ingranaggio del sistema è necessario affinché questo non rovini su se stesso. Anche Mino Raiola è uno degli ingranaggi: accusarlo di colpe non sue o chiedergli di assumersi responsabilità che non gli competono non è giusto. Il ruolo dell’agente è visto con diffidenza poiché è una figura recente e, a tratti ancora enigmatica. Raiola stesso, inoltre, è circondato da un alone di successo e di rispetto che dà fastidio incomprensibilmente. Toccherà a ciascuno di noi comprendere meglio la figura di Mino Raiola per poter conoscere meglio lo sport che amiamo più di tutto.


Il meglio del calcio internazionale su Sottoporta: Cuauhtémoc Blanco, tra genio e follia

Foto di copertina tratta da: Bleacher Report

Di Matteo Cipollone

Sempre alla ricerca di una storia particolare da raccontare, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire. Amo studiare storia e rimango affascinato da quello che essa ci offre. Accumulo libri e talvolta li leggo pure. Unisco due belle passioni: il calcio e la scrittura.

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