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La remuntada del Deportivo e la notte maledetta del Milan

Era il 2004: i diavoli rossoneri arrivarono in Spagna convinti di avere la vittoria in tasca e si ritrovarono invece dalla strada per il Paradiso a quella per l’inferno, per colpa del Deportivo.

Quella sera si verificò infatti una delle rimonte più famose della storia del calcio. Pare che al tempo l’allenatore Javier Irureta (o forse il presidente Augusto César Lendoiro), alla vigilia di quella partita, avesse esclamato: “Se passiamo il turno, faccio un pezzo del cammino di Santiago a piedi!” O forse era in ginocchio? Perché quella sembrava davvero un’impresa impossibile. È il 7 aprile del 2004, il Real Club Deportivo de La Coruña e il Milan si giocano il ritorno degli ottavi di Champions League. I tifosi ospiti dispensano sorrisi in giro per la città e sugli spalti del loro settore, mentre i giocatori in campo sanno di partire sicuramente con un bel vantaggio e magari sono addirittura convinti di avere il biglietto per il passaggio di turno già in tasca: mentre non immaginano minimamente che quella che stanno per affrontare sarà una lenta e inesorabile discesa agli inferi… Già: l’inferno. Il posto dove i diavoli rossoneri potrebbero farla da padroni: ma quella sera, a rimanerci in trappola, sono loro.

Di fronte i Riazor blues e i loro beniamini: sconfitti per 4-1 nell’andata a San Siro, ripongono i loro sogni di gloria in quell’unico gol fatto in trasferta. La carica non manca: lo stadio Riazor si infiamma lentamente. I galiziani sparigliano le carte e prendono subito il controllo del match. 32.000 persone affollano l’impianto e incitano: è un crescendo. È una bolgia che prende forma. Sul terreno di gioco stelle come Kakà, Shevchenko, Seedorf provano a fronteggiare Alberto Luque e i suoi. Carlo Ancelotti, in panchina, guida una squadra che arriva da una stagione in cui hanno perso la Supercoppa Italiana e l’allora Coppa Intercontinentale, ma hanno vinto la Supercoppa Europea e si avviano a vincere trionfalmente lo scudetto, con l’ucraino capocannoniere; mentre gli uomini di Irureta battagliano al vertice della Liga, in cui si piazzeranno poi terzi a soli 6 punti da Valencia campione.

La sensazione che prova qualcuno che non ha nulla da perdere può essere pericolosa

I bianco-blu sono schegge impazzite, corrono come assatanati e si impossessano ripetutamente della sfera di gioco, compiendo scorribande da una parte all’altra del rettangolo verde che gli avversari faticano a contenere. Il Deportivo non si arrende a quello che sembra un copione già scritto. Ed è Pandiani, autore proprio di quel gol che tiene accese le speranze degli spagnoli, ad aprire le danze agganciando una palla al volo, girandosi e colpendola di sinistro; imprendibile per Dida. Mezz’ora dopo tocca a Valerón, di testa, intercettare un cross e sbatterla in rete. Al 44° è il turno del bomber Luque che accelera su Cafù e Nesta e la butta dentro di prepotenza. Si va all’intervallo col telecronista entusiasta: “Che primera parte! Estraordinaria!”

Il secondo tempo vede i padroni di casa tornare a mordere il campo con foga, gli ospiti impegnati con fatica ad arginarli e un Molina mai troppo impensierito. E al 76° è Fran a sigillare il risultato, con un tiro intercettato da Cafù, il quale devia nella parte sbagliata: è 4-0. Missile di Rui Costa attorno all’80°, poi si concretizza la discesa rossonera all’inferno. Fischio finale. “El Depor está clasificado para la semifinal!” esclama ancora il telecronista locale. La remuntada è compiuta. “No stop signs. Speed limit. Nobody’s gonna slow me down.” Nessun segnale di stop, nessun limite di velocità, nessuno che mi rallenterà: il ritmo imposto dal Deportivo, quella sera, sembra quasi il celebre riff della chitarra di Angus Young. Forza Satana: paga i miei debiti!

L’incubo neppure lontanamente immaginato dai meneghini ha preso forma in una noche maldida

Ammutolito Ancelotti a bordo campo. Ammutoliti ed increduli i tifosi ospiti, storditi da quell’inaspettato blackout. Per campioni come Gattuso, Pirlo, Maldini e gli altri non c’è nulla da fare, in balia della marea blu del Riazor. Nessun “miserere me” dantesco può invertire il cammino. “Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare…” (fa declamare Dante a Virgilio). Caronte, lascia perdere: lassù (in cielo), dove tutto è possibile, vogliono così, quindi non dire altro e fattene una ragione. E ciò che è successo quella sera di aprile, un qualcosa di imponderabile, è roba che solo gli dèi del calcio potrebbero concepire. Scrive Pirlo nella sua autobiografia, cercando di dare una spiegazione a quanto accaduto: “Già pensavamo alla semifinale… È accaduto l’impensabile: ci siamo dimenticati di giocare, è finita quattro a zero. Ci hanno ridicolizzati.”

“Somos gente marinera y con eso no hay quien pueda!”

Siamo gente di mare e per questo non ci batte nessuno. L’Atlantico soffia i suoi venti. L’oceano è increspato. Sulla baia de l’Orzan cala l’oscurità profonda per i milanesi, mentre le stelle illuminano l’insenatura e guidano il cammino dei galiziani. I proverbi non mentono: i marinai sono gente tosta, hanno la pelle ruvida, bruciata dal sole e dalle intemperie, ma non mollano, non si arrendono. Quella stagione il Deportivo aveva iniziato la competizione vincendo in casa, ma arrancando in trasferta e perdendo addirittura per 8-3 in terra monegasca (nella fase a gironi), per poi ritrovarsi invece a battere grandi d’Europa come la Juventus prima (agli ottavi) e ora il Milan. Il cammino però si fermerà subito dopo, in semifinale, per mano dei lusitani del Porto, con Deco e i suoi che zittiranno i cori degli spagnoli: ma intanto, un pezzo di storia, è stato scritto di nuovo. Una serata pazzesca, capitolo memorabile di quello che è passato agli annali del calcio come “il grande Depor”.


Il meglio del calcio internazionale su Sottoporta: Il fu Deportivo La Coruña

Fonte immagine di copertina: uefa.com

Di Ilaria Ciangola

Di Trento. O.s.s. in Pronto Soccorso. Groundhopper, appassionata di calcio e amante di tutto ciò che è U.K.

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