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Ernst Happel: corsa e disciplina

Si dice che il padre di Ernst Happel facesse l’albergatore. Forse per questo gli ha trasmesso il gene della Wanderlust, la “malattia” di quelli che viaggiano tanto e che non vorrebbero mai fermarsi. Primo allenatore a vincere due Coppe dei Campioni con due club diversi, primo allenatore a vincere in 4 campionati differenti.

Ha girovagato tanto e ha vinto tanto in Europa, Ernst Happel. Austriaco, amava Vienna e il Café Ritter, dove con gli altri discuteva di calcio, beveva un bicchiere di cognac e fumava interi pacchetti di sigarette. Da calciatore, difensore centrale al Rapid, vince una Zentropa Cup (una versione non ufficiale della Mitropa Cup) e segna una tripletta al Real Madrid stellare di Di Stefano e soci, purtroppo inutile a conseguire il passaggio turno ai quarti di Coppa dei Campioni. Con la nazionale austriaca conquista invece un onorevole medaglia di bronzo ai Mondiali svizzeri del 1954.

Allenatore rivoluzionario

Quando veste i panni dell’allenatore, Ernst Happel cambia con le sue idee il calcio europeo. Il suo motto però era semplice: “Correre, correre, correre e disciplina”.

Trasferitosi nel 1962 all’ADO Den Haag, che lottava costantemente per non retrocedere, porta la squadra dell’Aia a un incredibile 4° posto nel 1964/1965 e a mettere in bacheca una Coppa d’Olanda contro il più quotato Ajax qualche anno più tardi. Qui mise in luce l’importanza della preparazione atletica. Un giorno i giocatori dell’ADO si rifutarono di allenarsi sotto la pioggia. Ernst allora prese una lattina, la posizionò sopra la parte superiore della traversa, si allontanò con enorme disinvoltura e la colpì al primo tentativo con un calcio preciso, lanciando una sfida ai suoi giocatori: chi la faceva cadere poteva andare in spogliatoio, chi sbagliava restava ad allenarsi. Quel giorno continuarono tutti l’allenamento.

Rotterdam chiama

Dopo l’exploit, la chiamata importante non si fa di certo attendere e accetta la proposta del Feyenoord. Ernst Happel era un tipo che parlava poco, silenzioso e riservato, ma quando parlava era eloquente e potente. È stato un rivoluzionario, uno dei primi a gestire la posizione centrale del centrocampista offensivo e del suo movimento tra le linee in un 4-3-3 che creava scompiglio alle altre squadre. La difesa dall’allenatore austriaco era organizzata perfettamente per poter pressare gli avversari in maniera efficace, mandando spesso gli attaccanti in fuorigioco.

Ernst Happel
Happel in un’iconica immagine d’epoca (fonte: 90minuten.at)

Nel 1970 il suo Feyenoord vince la Coppa dei Campioni contro il Celtic grazie ad un goal del centravanti svedese Kindvall ai supplementari. L’allenatore degli scozzesi, Jock Stein, dopo la fine della partita disse sconsolato: “Il Celtic non ha perso contro il Feyenoord. Ha perso con Happel”.

Dalle sconfitte alle vittorie

La squadra di Rotterdam vince anche la Coppa Intercontinentale ai danni dell’Estudiantes. Dopo un’avventura poco fortunata al Siviglia, Ernst va a scrivere la storia del modesto Bruges. Prima però una chicca che avvenne in questo periodo. Nel dicembre ’75, Happel decreta un allenamento con tutti i giocatori alle 7 del mattino prima di prendere l’aereo per andare a Roma ad affrontare i giallorossi in Coppa Uefa. Un maniaco della disciplina. A Bruges, Happel incontra la bestia nera della sua carriera, anzi rossa. Il Liverpool, infatti, nel 1976 in Coppa Uefa e nel 1978 in Coppa dei Campioni, trionfa in finale due volte a discapito proprio del club fiammingo.

Sempre nell’estate del ’78 Happel deve assimilare un’altra delusione dal calcio. In una delle finale più discusse del Mondiale, la sua Olanda, orfana di Cruijff, si deve chinare alla Nazionale Argentina di Videla. Sembrerebbe il tramonto di un allenatore che ha già fatto vedere tanto, ma lui non molla mica facilmente. Breve tappa allo Standard Liegi, poi per 7 anni guida l’Amburgo, ritornando ad essere un vincente.

In bacheca aggiunge due campionati tedeschi, una coppa di Germania e un’altra splendida Coppa dei Campioni, nella stagione 1982/1983. A farne le spese è la Juve, che in finale si deve chinare al goal di Felix Magath. Ad Atene, durante le celebrazioni post partita, a sorpresa, Ernst esulta, balla, felice del traguardo appena raggiunto.

“Quando mostrava le sue emozioni era insolito come vedere il Papa in costume da bagno”

Uli Stein, portiere dell’Amburgo sotto la guida di Happel

Decadenza e leggenda

L’aria di Vienna e dei suoi amati Cafè però vagano nostalgici nella mente di Ernst. Ecco così che ritorna in Austria, al timone della neonata Swarowski Tirol. I risultati sorprendenti con il club di Innsbruck, (2 campionati consecutivi tra il 1989 e il 1990) inducono i dirigenti della Nazionale del suo Paese a puntare su Ernst che, nonostante i tentennamenti, accetta, sollecitato addirittura dal cancelliere austriaco. Quelli che tutti non sapevano però era che Happel aveva un tumore incurabile che ne aveva contraffatto i lineamenti e lo aveva ridotto a pelle e ossa. Lui comincia l’avventura con il Das Team con la stessa voglia di un ragazzino, ma si deve arrendere, nel novembre 1992, a quel male. Il celebre Prater Stadion, un anno dopo, cambia denominazione, dedicando l’impianto all’allenatore austriaco.

Ernst Happel Prater Vienna
L’esterno dello stadio a lui dedicato a Vienna (fonte: archivio personale)

In uno speciale di Federico Buffa, l’avvocato racconta qualcosa proprio sul mai dimenticato Ernst.

“L’idea di gioco di Sebes e della grande Ungheria di Puskas e Hidegkuti era di avere giocatori molto tecnici che occupassero molto bene il campo. Happel, che aveva giocato contro quella squadra, volle aggiungerci qualcosa: alzare la condizione fisica per avere giocatori molto tecnici e anche molto fisici. Si gioca a zona. «Avessi 11 asini li metterei uomo contro uomo, ma per fortuna ho sempre buoni giocatori».

E l’allenamento? Allenamento di un’ora, con la palla e riproducendo le diverse situazioni tattiche della partita in modo che provandole e riprovandole i giocatori la domenica reagissero in maniera istintiva. Lo schema? 4-3-3 con «gabbie» in mezzo al campo: porto più giocatori dove gli altri sono più forti. La squadra deve stare in 30 metri. Per questo serve che i difensori sappiano fare gli attaccanti e gli attaccanti sappiano fare i difensori. Quando questi concetti viaggeranno nella valigia di Johan Cruyff nel suo viaggio da Amsterdam a Barcellona, si stanno creando le basi per il futuro del calcio europeo”

F. Buffa

Un ispirazione, un vincente, un Wanderlust, un allenatore iconico che scrisse un pezzo di storia del calcio europeo di corsa, ma con disciplina.


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Fonte copertina: Twitter Iron Rinus

Di Cosimo Giordano

Opinionista sportivo nel tempo libero, founder di Sottoporta, amo la pizza e il calcio internazionale. Sono quel tipo che ogni tanto ripensa alla carriera di Pauleta e che va a curiosare sulle rose del campionato australiano.

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