Categorie
Nazionali Resto del mondo

Hanno ucciso la Coppa d’Africa

La Coppa d’Africa 2021, già nata sotto la cattiva stella del rinvio per Covid e per la mancanza di impianti adeguati in Camerun, ha registrato ieri l’ennesimo scossone. La morte di 8 persone, all’esterno dello stadio Olembe, è una macchia indelebile sulla Coppa e sulla sua organizzazione. Ma lo spettacolo deve andare avanti.

Mancano pochi minuti all’inizio della gara valida per gli ottavi di finale della Coppa d’Africa, fra i padroni di casa del Camerun e la sorpresa Comore. La vigilia della partita è stata piuttosto turbolenta. Nella serata del 23 gennaio, a Yaoundé, un rogo in una discoteca ha ucciso 17 persone. Il comitato organizzatore locale, su cui la CAF (la Confédération Africaine de Football ) fa affidamento per quanto concerne logistica e ordine pubblico, è già messo pesantemente sotto stress da settimane. La Coppa d’Africa in Camerun è stata più volte rinviata. Inizialmente prevista per il 2019, l’organizzazione del torneo fu affidata all’Egitto in quanto il Camerun non aveva ancora soddisfatto i requisiti minimi per l’assegnazione. Il Covid, in seguito, ha fatto il resto, traslando la Coppa fra gennaio e febbraio 2022.

Tutto ciò aveva fatto storcere il naso ai maggiori club europei, desiderosi di tenere i propri talenti in casa in un momento cruciale della stagione. In molti si sono chiesti se ciò non avesse a che fare con il persistere di un’idea post-coloniale, che nel Vecchio Continente spunta fuori spesso e mal volentieri. I migliori giocatori, al netto degli infortunati, vedi Osimhen del Napoli, hanno infine sposato con entusiasmo la causa delle proprie nazionali.

La Coppa d’Africa, ancora a causa della pandemia e del ritardo nell’inaugurazione dello stadio Olembe, dedicato al presidente Paul Biya, ha rischiato di non aver luogo fino alla fine. L’elezione di Samuel Eto’o quale nuovo presidente della Federazione camerunese, la FECAFOOT, è stato un segnale inequivocabile del fatto che la competizione si sarebbe svolta in Camerun nei tempi prestabiliti. Una questione politica, sostenuta dalla necessità dell’anziano presidente Biya, in carica da 40 anni, di mostrare un Paese in grado di ospitare una manifestazione cruciale come questa. Lo stesso presidente della CAF, il multimilionario sudafricano Motsepe, in carica solo da marzo 2021, aveva offerto garanzie in tal senso.

Camerun-Comore: il prepartita

In queste condizioni precarie, il Camerun si è trovato ad affrontare situazioni di ordine pubblico alle quali non era realmente preparato. Già durante l’African Nations Championship dello scorso anno, prova generale per questa manifestazione, il Camerun non era stato esente da polemiche riguardo l’applicazione dei protocolli anti-Covid. La Repubblica Democratica del Congo, nel suddetto torneo dedicato ai calciatori parte di club locali, aveva duramente protestato in tal senso.

In una situazione simile, ma con protocolli completamente diversi, si sono trovate le Comore. I Celacanti si sono presentati in campo senza portiere di ruolo. Un focolaio Covid ha colpito il gruppo squadra. Il portiere titolare Ben Boina si è infortunato all’inizio della Coppa. Ousseni e Ali Ahamada sono fra i calciatori risultati positivi. Cosa dice il protocollo, cambiato in corso d’opera a causa dei numerosi casi di coronavirus? Che un giocatore, una volta risultato positivo al Covid, deve osservare 5 giorni di quarantena. Ad almeno 24 ore dall’incontro, può effettuare un test e deve risultare negativo per poter scendere in campo. Ahamada è risultato positivo il 22 gennaio. La mattina del 24, giorno della partita, ha effettuato un test molecolare risultando negativo. Ma non ha rispettato i cinque giorni di quarantena.

La CAF, organo responsabile in questo caso, non ha concesso alcuna deroga, essendo inedita per una grande competizione la difficoltà incontrata dalle Comore. Nel caso del tunisino Khazri, sceso in campo nella serata precedente e negativizzato a 24 ore dal match, vale l’aggiunta al protocollo originale inviato in dicembre. Un calciatore deve risultare negativo a 48h dal match, previa osservazione dei cinque giorni di quarantena. Ma se risulta negativo a 24h dal match, e supera tutti i test fisici, può essere arruolabile.

Le Comore hanno quindi deciso di impiegare il giocatore di movimento che maggiormente si era distinto fra i pali durante gli allenamenti. La scelta è caduta su un calciatore che ancora non aveva visto il campo. Chaker Alhadhur di ruolo fa il difensore centrale o il terzino. Gioca per l’Ajaccio, in Ligue 2 francese. Ha 30 anni ed è nato a Nantes da genitori comoriani, trascorrendo praticamente tutta la sua carriera calcistica lontano dai riflettori del grande calcio. Il suo sguardo prima della gara è fisso sui guantoni, quasi incredulo. Non muove un singolo muscolo facciale. Difficile dire se a causa della tensione, della concentrazione, o entrambe le cose. Il numero 3, attaccato sulla divisa da portiere troppo larga per un ragazzo che a malapena arriva al metro e settantatré, copre il 16 col quale era in lista.

Contro i padroni di casa, strafavoriti, le Comore scendono quindi in campo senza portiere di ruolo, affidandosi alla grinta e ai suoi attaccanti: il bomber della Stella Rossa di Belgrado, El Fardou Ben e il fantasista dell’Annecy (terza serie francese) Ahmed Mogni, autore di una doppietta decisiva contro il Ghana. Le Comore, d’altronde, si sono qualificate solo come ultima delle migliori terze. La vittoria per 3-2 contro il Ghana è stata la prima, con le prime reti segnate, nella storia del torneo per i Celacanti, all’esordio assoluto. Va da sé che l’allenatore dei Leoni Indomabili, Conceiçao, aveva bisogno di schierare tutto il suo potenziale offensivo per approfittare della situazione d’emergenza in cui sono precipitati gli uomini di Amir Abdou.

Ma se le polemiche avevano avvolto la vigilia, un nuovo fatto di sangue avrebbe attirato l’attenzione dei media internazionali. Torniamo quindi alla sera del 24 gennaio, negli istanti immediatamente precedenti alla partita.

La Coppa d’Africa nel sangue

Il pubblico sta prendendo posto molto lentamente all’interno dello stadio Olembe. Direttamente dall’impianto, la cosa viene fatta notare con puntualità dai giornalisti presenti. Fra questi, l’unico inviato dall’Italia, Alex Alija Čizmić, alla sua seconda Coppa d’Africa, stavolta per Radio Sportiva e diverse testate straniere. Alex sottolinea che “alcuni colleghi avevano segnalato una ressa all’esterno dello stadio”, mentre gli spalti vanno via via riempendosi. La capacità è di 48.000 spettatori, ma come dirà il presidente della CAF Motsepe nella conferenza stampa del giorno successivo:

“Abbiamo impiegato due ore per raggiungere lo stadio [la sera della partita]. Siamo arrivati tardi. Stiamo facendo luce su quanto accaduto. Ci sono 8 morti, fra cui un bambino, e numerosi feriti. Fra questi, 7 sono in pericolo di vita. Il comitato organizzatore locale ha fallito. Solo uno dei due cancelli d’ingresso era aperto. Quello inspiegabilmente chiuso, ha provocato la ressa fatale. Molte persone volevano entrare allo stadio senza biglietto e senza i requisiti necessari [anti-Covid]. Molte più della capacità dello stadio. Credo ci fossero alcune migliaia di persone in più“.

Schiacciati dalla calca, muoiono 8 spettatori. Ma il bilancio è possibilmente destinato a salire. Sugli spalti, mentre il Camerun fatica più del previsto, nonostante l’uomo in più dal 7′ del primo tempo (espulsione diretta per Nadjim Abdou) e la presenza di un giocatore di movimento fra i pali, Samuel Eto’o appare visibilmente nervoso e contrariato. In un primo momento si pensa alla magra figura dei suoi Leoni, che più volte si scontrano con le coraggiose quanto picaresche parate dell’improvvisato estremo difensore Alhadhur. Ma la verità è più profonda, come si scoprirà in seguito.

Nel frattempo, il portiere dei Celacanti prende gol da Karl Toko-Ekambi, chirurgico nel superare Alhadhur con un destro all’angolino, furbo, lemme lemme. Ma si distingue per alcune parate d’istinto sul bomber Aboubakar e sugli altri attaccanti della formazione di casa. Dall’altra parte, Onana ha il suo bel daffare per contenere gli attacchi delle Comore. Il Camerun, nonostante la sindrome da braccino corto, perviene al raddoppio con Aboubakar, sei reti nel torneo e il trentesimo compleanno festeggiato due giorni prima. Ma le Comore, stoicamente, non mollano e accorciano le distanze con una punizione “alla Pirlo” da trenta metri di M’Changama, spaventando il Camerun per i dieci minuti finali.

Nella conferenza stampa del 25 gennaio, Samuel Eto’o ha finalmente preso la parola, asserendo che le responsabilità della tragedia vanno condivise al 50% con la CAF. La FECAFOOT ha diramato un comunicato in cui esprime cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime.

Mentre lo spettacolo, com’è ovvio, andrà avanti (e chi siamo, noi occidentali che abbiamo giocato finali di prestigiose Coppe con i morti ancora caldi, per contestare ciò?), torna alla mente quella maledetta sindrome post-coloniale, per cui in Africa ancora oggi tutto è improvvisazione. Tutto è fallace. Come nella teoria dell’etichettamento della scuola di Chicago, la profezia si auto-avvera: “questa Coppa d’Africa è maledetta, non andava giocata!” In questo gioco al massacro, fra richiami agli stregoni e alla superstizione della magia nera, qualcuno in Camerun non ha saputo svolgere il suo mestiere. E i morti, sulle strade impolverate antistanti lo stadio Olembe, saranno lì a ricordarlo per sempre.


Il meglio del calcio internazionale su Sottoporta: Guida galattica al calcio in Kosovo.

Fonte immagine di copertina: transfer market web football

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *