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Beck, appunti sull’Europeo – 4

Punti, spunti e appunti sull’Europeo itinerante dopo le semifinali a tutto volume.

Punti, spunti e appunti sull’Europeo itinerante dopo le semifinali a tutto volume.

1) Inghilterra-Italia, dunque. Dopo i rigori con la Spagna, dopo il rigore con la Danimarca. Già. Non proprio un penalty di quelli chiari ed evidenti. Un malizioso ibrido fra il tuffo di Raheem Sterling, il piede ingenuo di Joakim Maehle e la ginocchiatina di Mathias Jensen. Si era nei supplementari: l’arbitro – Danny Makkelie, olandese – non ha avuto dubbi. Il Var nemmeno. Boris Johnson, in tribuna, figuriamoci. La perfida Albione: uffa.

2) La Danimarca lascia fra gli applausi: anche i miei. Il cuore di Christian Eriksen l’aveva trasfigurata, letteralmente. E fino al 30’della ripresa, era lì, a Wembley, a giocarsela con l’England. Poi è calata. Non avrei sostituito Mikkel Damsgaard, 21 anni, caso rarissimo di trequartista che gioca nel suo ruolo. Il gol su punizione – voce del coro: alla Eriksen – è stato il primo subito dai leoni di Gareth Southgate.

3) A proposito di trequartisti. Vita grama. Prendete Jack Grealish. Entra sul pari, ancheggia e solfeggia sulla corsia sinistra e, subito dopo il 2-1, viene tolto. Non si sa mai. Bisognava imbottire il centrocampo. Paron Nereo (Rocco), sciur Trap: perdonateli.

4) Harry Kane. Scusate se insisto: zero gol nella fase a gironi, già 4 dagli ottavi in poi. Al mondiale russo fece esattamente il contrario. Partì sparato (5 reti) e arrivò alla Dorando Pietri (più 1, totale 6). E’ centravanti moderno, prima o seconda punta in base alle esigenze. Uno che stana i bunker e scava brecce per gli incursori. L’aspetto curioso è che i «nove» sono, di solito, inguaribili egoisti. Harry no. E resta, comunque, un gran predatore.

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5) Che signore, Luis Enrique. Ci ha fatto i complimenti, «tiferò per voi». D’accordo, la Spagna esce dopo due vittorie e quattro pareggi, mentre noi restiamo con cinque successi e un pari (a parte le 33 gare senza sconfitte, «a parte» per modo di dire). Ma martedì sera ci fu risultato, non partita. Non so quanti, in Italia, avrebbero reagito come l’hombre vertical di Gijon, Asturie.

6) Il calcio, per fortuna o per sfortuna, non è il basket: nel calcio il possesso palla è indicativo, non definitivo. Dalla «Gazzetta dello Sport»: 70,1% Spagna, 29,9% Italia. Eppure non ha deciso la quantità, ha risolto la volontà. A Fusignano – culla del sacchismo e della dottrina che impone il sequestro territoriale del «nemico» – non avranno stappato champagne, ma tutto il mondo è paese, sono felici gli spagnoli di aver ritrovato lo spirito del triplete (Europeo 2008, Mondiale 2010, Europeo 2012), siamo contenti noi di non aver smarrito la retta via.

7) Capo al lavoro dal 14 maggio 2018, Roberto Mancini ha realizzato un capolavoro. Per dirla con Vujadin Boskov, che lo crebbe alla Sampdoria, vede «autostrade dove altri solo sentieri». Alludo al «volli, fortissimamente volli» delle scelte. Bisogna fiutare il vento, coltivare l’umiltà di adeguarsi non appena l’avversario, come avrebbe detto Bruno Pesaola buon’anima, «te ruba la idea». E pazienza se, per una volta, non vince la squadra più propositiva ma l’altra, quella che non si vergogna di «abbassarsi». Ci sono notti in cui giochi come vuoi e notti in cui giochi come puoi. Non è una colpa. Al massimo: un limite. Soprattutto, nel nostro caso, merito dei rivali.

8) La Spagna di Pedri, classe 2002 (e che classe!), un piccolo nuovo Xavi, a conferma che la premiata sartoria del tiki-taka proprio chiuso non ha. Adelante, Pedri, con juicio.

9) Di sinistro all’Austria, di destro alla Spagna: a 23 anni, Federico Chiesa ha scalato le gerarchie e scavalcato Domenico Berardi. E’ uno dei giocatori più europei che abbiamo. «Di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno». Dategli una zolla di libertà e vi solleverà il mondo. Il suo confine è proprio lo spazio: boccheggia, se il terzino glielo sottrae. Il primo tempo di martedì era stato da 5. Poi l’attimo: arrivante, non fuggente. La differenza è tutta lì.


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Fonte immagine di copertina: UEFA Euro 2020

Di Roberto Beccantini

Nato a Bologna il 20 dicembre 1950, giornalista professionista dal giugno 1972. Ha seguito nove Mondiali di calcio, da Argentina 1978 a Sudafrica 2010; otto campionati d’Europa di calcio, da Roma 1980 a Austria e Svizzera 2008; tutte le finali di Champions League dal 1992 al 2010 più altre finali sparse. È stato giurato italiano del «Pallone d’oro» e collabora con il “Guerin Sportivo”.

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