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Intervista a…Valerio Zuddas

La nostra intervista a Valerio Zuddas, 33 anni, allenatore in seconda dello Sheriff Tiraspol al fianco di Roberto Bordin. Un vero globetrotter del pallone.

La storia di Valerio Zuddas come collaboratore tecnico nel mondo del calcio parte da un luogo dell’anima che è talmente radicato dentro di noi che spesso è difficile da raggiungere. La consapevolezza di sè stessi.

“Ad un certo punto del mio percorso da calciatore ho realizzato che la mia carriera non stava seguendo il percorso che avrei voluto. Così mi sono guardato dentro e ho scelto di cambiare strada, imboccando quella dello studio per entrare in uno staff tecnico. Smettere di giocare è stato doloroso, anche se dentro di me ho sempre avuto la predisposizione a pensare da tecnico anche in campo. Trovarsi dall’altra parte dello spogliatoio non è stato facile, specie per uno come me che aveva smesso così presto. Mi mancava il legame con i miei compagni di squadra.

Lo studio mi ha aiutato a ritrovarmi. Non riesco più a contare i corsi e i seminari a cui ho partecipato per prepararmi al meglio, i confronti con i colleghi, le visite ai campi di allenamento. Dopo una prima esperienza, a stagione in corso, con la Lupa Roma, la fortuna ha voluto che mi capitasse subito un’occasione importante per un professionista. Ho ricevuto la chiamata della Reggina.

Ho avuto subito la possibilità di misurarmi con grandi realtà, in una piazza storica come Reggio Calabria. Sono grato di quell’esperienza, mi ha segnato anche come uomo. Ho conosciuto persone speciali lì.”

Inventare un nuovo inizio

Dopo la Reggina, Zuddas vive una sensazione strana. L’horror vacui di chi cerca il suo posto nel mondo e ancora non riesce a trovarlo.

A stagione finita, iniziai a guardarmi intorno. Invano. Cercavo squadra anche tra i dilettanti, per ripartire, ma non trovavo niente. Andai in vacanza, senza godermela: la mia testa era altrove. Una mattina di luglio squillò il telefono. Era Roberto Landi, che in quel momento allenava il Kolkheti Poti, prima divisione della Georgia. Mi chiedeva di andare con lui a fargli da assistente.

Per un attimo esitai. Ero pieno di pregiudizi, che poi col tempo si sono rivelati infondati. Temevo che andare all’estero mi avrebbe fatto uscire dai radar, avevo paura di sbagliare. Ma l’indecisione durò poco: il giorno dopo ero in Georgia. Avevo troppa voglia di stare su un campo di calcio e mettermi in gioco. La scelta migliore che io abbia mai fatto.

La carriera di Valerio Zuddas inizia a toccare luoghi impensati

Dalla Georgia, Valerio Zuddas inizia un vero e proprio giro d’Europa, sempre col pallone come guida. Romania (UTA Arad), Ungheria (Honvèd, come vice di Giuseppe Sannino), Cipro (Pafos FC), Croazia (Hajduk Spalato, al fianco di Paolo Tramezzani), Scozia (Hibernians FC). Fino ad arrivare in Transnistria, allo Sheriff. Una vita sempre con la valigia in mano, sempre alla ricerca di sensazioni nuove.

“Ho un legame speciale con ogni luogo dove ho vissuto e ogni squadra che ho allenato. Quando vado in un posto non riesco a fare il mio lavoro se non sono connesso con le persone e con la cultura del posto.

Ho avuto la fortuna di avere allenatori molto diversi tra loro, di nazionalità variegate e con idee differenti sul modo d’intendere il calcio. Un’altra opportunità che ho avuto è quella di poter imparare diverse lingue. Ho amicizie in tanti paesi, ho giocato in stadi incredibili contro squadre prestigiose: Dinamo Tbilisi, Steaua Bucarest, Ferencvaros, Dinamo Zagabria, Celtic, Rangers…

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“Da qualche parte, là fuori, c’è sempre un posto nuovo che non ho ancora visto”

Allenare in 8 paesi è stata la mia fortuna, non la considero un rischio. Mi abituo sempre a tutto e molto rapidamente, cibo compreso. Il cambiamento è flessibilità e crescita. Nel calcio è impossibile ricercare una vera e propria stabilità, perchè chi vive in questo mondo dipende dai risultati che ottiene. A volte mi son trovato a dover cambiare città e nazione anche dopo aver vinto un trofeo o dopo un’ottima stagione. Ovviamente mi sarebbe piaciuto restare in certe città, ma preferisco pensare che da qualche parte, là fuori, c’è sempre un posto nuovo che non ho ancora visto…

Tra le città che ricordo più volentieri c’è sicuramente Budapest, dove con l’Honvèd abbiamo vinto la Coppa d’Ungheria dopo 12 anni d’attesa. Il mio posto del cuore è senza dubbio Spalato. In Croazia ho pure conosciuto la donna che è diventata mia moglie. Lì mi sono identificato in pieno con la città e con la passione dei tifosi per la squadra di calcio.

L’importanza di una tifoseria passionale

Da questo punto di vista, Spalato è incredibile. Il calcio è una vera e propria ragione di vita: se la domenica non vinci e il lunedì vai a bere un caffè in un bar, sicuramente trovi qualche tifoso che ti ricorda che avresti potuto fare meglio. La Torcida è spettacolare ed ha grandi aspettative, ma io amo lavorare sotto pressione. La tifoseria della Reggina non è da meno, in quanto a calore. La gente è passionale, vive letteralmente di calcio. Pensa che veniva gente pure a vedere l’allenamento di scarico del lunedì!

Anche i tifosi dell’Hibernian sono sempre molto vicini alla squadra. Il tifo ad Edimburgo si divide a metà: mezza città tifa per gli Hibs, l’altra mezza per gli Hearts. La settimana del derby è veramente qualcosa di speciale, soprattutto in Scozia.”

Valerio Zuddas
Valerio Zuddas all’Honvèd (foto dall’archivio personale di Valerio Zuddas)

L’importanza della famiglia per Valerio Zuddas

Valerio Zuddas tocca un argomento importante nel corso di questa intervista. Come si fa a conciliare la vita familiare con un mestiere che ti porta a cambiare posto nel mondo così spesso?

“Non ti nascondo che è dura. All’inizio giravo il mondo da solo, ero entusiasta. Mi abbeveravo del mio lavoro, ero abituato a stare da solo ed a spostarmi per conto mio. Adesso ho due bambini e faccio di tutto per tornare a casa il prima possibile. Nella mia prossima esperienza porterò sicuramente con me moglie e figli. Grazie all’amore della mia famiglia riesco a fare quello che faccio. Mi supportano in ogni situazione, anche se per loro è un sacrificio notevole non avermi sempre vicino. Non smetterò mai di ringraziarli per tutto quello che fanno per me.”

Per Valerio Zuddas tutto è questione di evoluzione ed apprendimento

Valerio Zuddas è partito come collaboratore tecnico e adesso è allenatore in seconda di un emergente club europeo. Un percorso che aveva in mente sin dall’inizio?

“Anche quando lavoravo da preparatore ho sempre pensato come allenatore. Sono sempre stato coinvolto nel progetto tecnico e il mio approccio era molto orientato alla sinergia con l’idea di calcio dell’allenatore con cui lavoravo. Per me diventare vice-allenatore è stato un passaggio naturale. Trovo stimolante evolvere il proprio ruolo, misurarsi con altre responsabilità e vedere le cose da altri punti di vista”

Arriverà, in futuro, anche il momento di mettersi “in proprio”?

“Si tratta di una possibilità per il futuro, ma non ho nessuna fretta. Con Mister Bordin mi trovo benissimo e lo Sheriff è un top club. Posso solo imparare stando qui e l’importante è questo. Apprendere, non accontentarsi mai, in campo e nella vita. Poi, chi lo sa? Potrei anche essere felice, un giorno, senza necessariamente lavorare nel mondo del calcio.

“Allenare è tutta un’altra cosa”

Anche perchè spesso, per chi non ha un background affermato da ex calciatore professionista, è difficile emergere come allenatore. Ultimamente hanno fatto discutere le dichiarazioni di Francesco Acerbi a riguardo. Il difensore dell’Inter sostiene che “oggi prendere il patentino è quasi una moda, lo può avere anche un idraulico. Dovrebbe esser data la precedenza a chi a calcio ci ha giocato”. Ma è un concetto giusto? Zuddas crede di no.

“Sicuramente aver giocato ad alti livelli aiuta, soprattutto per essere saldamente connesso con tutto il sistema che circonda il calcio. Ma allenare è tutta un’altra cosa. Servono studio, preparazione, coraggio. Abbiamo avuto grandi esempi di come si possa essere stati un grande calciatore senza però abbinare risultati apprezzabili in panchina. E poi, a dire la verità, il mondo del calcio continua a privilegiare gli ex-giocatori...

Le difficolta, in questo lavoro, sono normali. Specie se non sei un ex calciatore affermato. Ma quello che conta è la voglia, la determinazione di arrivare. Se sei testardo e anche bravo, alla fine arrivi dove vuoi e dove meriti. Tutto sta in quanti “no” riesci ad accettare prima di arrenderti.”

Per Valerio Zuddas la fase difensiva è un’impronta culturale

Nel curriculum di Valerio Zuddas spunta un ruolo in particolare: specialista della fase difensiva. Un ruolo chiave, nel calcio moderno. L’interpretazione del modo di difendere spesso segna, per una squadra, la differenza tra successo e mediocrità.

“Tutte le squadre ai vertici di ogni classifica europea sono quelle con la migliore difesa e col minor numero di gol subiti. Questo non significa essere difensivisti, bensì organizzarsi e avere equilibrio.
Saper organizzare come riconquistare il pallone in fase di non possesso dà consapevolezza a tutta la squadra e permette di conseguenza di rischiare di più anche in fase offensiva, perché in caso di perdita del pallone, si rimane comunque in controllo del gioco e si sa esattamente cosa fare per riconquistarlo.
Organizzare principi, sottoprincipi, capire le caratteristiche individuali, lavorare sulle lacune e migliorare i punti di forza a livello individuale, di reparto e di squadra. C’è un lavoro enorme dietro. Importante è anche capire in che campionato stai organizzando il tuo lavoro perché l’impatto culturale è determinante.

Capire come difendersi è fondamentale

La Scozia ad esempio è il campionato con più palle lunghe giocate in Europa. Ci sono continui lanci lunghi sul centravanti che salta di testa per favorire gli inserimenti. La cultura dell’uomo su uomo senza palla è molto diffusa, ma questo potenzialmente genera occasioni da gol a ogni palla lunga calciato. Passando a una zona pura e lavorando sul fuorigioco abbiamo ottenuto ottimi risultati. Se avessimo adottato la stessa soluzione della zona in campionati come Italia o Spagna, dove ci sono molti giocatori bravissimi nel gioco tra le linee e nei mezzi spazi, probabilmente saremmo andati in difficoltà.

Sono soddisfatto dei risultati. In Scozia ad esempio, nel nostro periodo in carica, quella dell’Hibernian è stata la seconda migliore difesa dopo il Celtic, davanti ai Rangers. Non è facile in un campionato dominato da queste due squadre. Alcuni difensori che ho avuto la fortuna di allenare sono stati chiamati in nazionale o venduti in squadre importanti, come Doig a Verona, Porteous al Watford o Vuskovic all Amburgo.”

La ricerca di nuovi talenti è sempre la chiave

Lo Sheriff Tiraspol ha lanciato, negli ultimi anni, molti nuovi talenti. Spesso provenienti dal calcio africano.

“Non mi sorprende. Lo Sheriff è un club organizzatissimo, molto attento alle occasioni di mercato ed abile nello scovare gemme nascoste. L’ultimo esempio è Traorè, valorizzato qui dopo esser passato dal Metz. Adesso sta facendo benissimo al Ferencvaros. La scelta di puntare su questo tipo di calciatori sicuramente risiede nel rapporto tra qualità e prezzo. A volte sono giocatori difficili da educare tatticamente nel contesto europeo, ma grazie all’organizzazione del club questo avviene in poco tempo. Molti di loro, prima di arrivare a Tiraspol, giocavano in serie minori o in squadre africane non esattamente di prima fascia. Qui possono lavorare sulle loro potenzialità in un palcoscenico europeo e in un contesto vincente. Un tipo di sistema che sta funzionando bene.”

Sottoporta è da sempre attenta alla crescita dei nuovi talenti del calcio sparsi in tutto il globo. Era inevitabile, per noi, chiedere a Zuddas chi tenere d’occhio tra i suoi giocatori allo Sheriff…

“Ci sono stati molti nuovi innesti in squadra, difficile concentrarsi soltanto su uno. Quelli che mi hanno colpito di più per le loro qualità sono Mouhamed Diop, Amine Talal e Cedric Balolo. Ma sono convinto che da qui a fine stagione ne vedremo eccellere almeno un altro paio…”

Quanti talenti passati davanti agli occhi di Valerio Zuddas

Di giocatori splendidi da vedere, girando per i campi di mezza Europa, Valerio Zuddas ne ha visti davvero tanti.

“A Budapest ho allenato David Ngog, che ha giocato per squadre come PSG e Liverpool. Era a fine percorso, ma vederlo allenarsi faceva capire che potenzialità avesse. Secondo me poteva avere una carriera ancora migliore di quella che ha avuto, non ha espresso al massimo il suo potenziale. Che dire poi di Marko Livaja? A Spalato è considerato come Francesco Totti a Roma. Giocatore fantastico, ha disputato anche un ottimo Mondiale in Qatar. Credo che avrebbe potuto dire ancora la sua in campionati più importanti, ma ha scelto di fermarsi nella città che ama di più. Ne ho visti molti altri. Martin Boyle all’Hibernian, Daniel Gazdag che ora sta segnando tanto in MLS a Philadelphia, Davide Lanzafame, Jairo del Paphos. Anche il finlandese Onni Valakari, che ho conosciuto al Pafos, per me è fortissimo. Alcuni sono stati fortunati, altri un pò meno. Ma il talento era tutto lì da vedere.”

Le esperienze che vivi definiscono l’uomo che diventerai

Quando si parla con persone come Valerio Zuddas, quello che resta addosso è la sete di conoscenza del professionista e dell’uomo. Zuddas ha intrapreso un viaggio dentro sè stesso, oltre che per le città d’Europa. Un piccolo romanzo di formazione che diventa scoperta, innamoramento, conquista.

Un tragitto che ha regalato a Valerio Zuddas l’amore infinito per la sua famiglia e la continua voglia di migliorarsi. Due carburanti necessari per diventare uomini, prima che professionisti. D’altronde, Zuddas ce lo ha detto testualmente: “Potrei anche essere felice, un giorno, senza necessariamente lavorare nel mondo del calcio.”

Costruire le priorità attraverso una continua ricerca della prossima tappa e di nuove strade, che siano geografiche o interiori. Siamo sicuri che Valerio Zuddas, nella vita, sarà sempre un uomo felice.


Immagine di copertina realizzata da PSM Sport, visita il sito!

Base tratta dall’archivio fotografico personale di Valerio Zuddas

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