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Superlega: una guerra di posizione

Superlega: una rivolta dei 12 grandi club contro la UEFA rappresenta una guerra di logoramento, dove gli uni hanno bisogno dell’altra e viceversa. I tifosi, però, non sono spettatori neutri in questo conflitto.

I dirigenti rappresentano l’aspetto deteriore del calcio. Manipolano masse di tifosi la cui dedizione è totale, e cosí facendo sono nella condizione di generare trasformazioni sociali impensabili”. Un quarto di secolo fa, Manuel Vazquez Montalban, raffinato scrittore e ideologo, e profondo conoscitore della sociologia applicata al pallone, si esprimeva in questo modo a proposito del futuro del calcio. Chissà, se fosse ancora in vita, che cosa avrebbe detto della Superlega. Di sicuro ne avrebbe parlato male, ponendo l’accento sulla religione-pallone che tenta di forzare l’efficacia sul piano commerciale. Eppure nel passaggio sui dirigenti, intesi come “manipolatori di masse“, Montalban si sorprenderebbe scoprendo che i tifosi, questa volta, non sembrano avere alcuna voglia di essere alienizzati o di inginocchiarsi davanti all’altare della Superlega.

Sfavorevoli

La condanna è unanime, a qualsiasi latitudine del vecchio continente. Prevale, e potrebbe essere decisivo, quell’animo romantico che ancora alberga nei cuori della maggior parte degli appassionati. Un sentimento che rischia di sbriciolare le pur solide certezze dei vari Agnelli, Perez e Bin Zayed. A questo punto viene da domandarsi: siamo di fronte a una strada senza possibilità di invertire il senso di marcia? E’ un bluff? Oppure un braccio di ferro? Delle tre ipotesi quella che oggi sento maggiormente di maneggiare è quella di un braccio di ferro tra i grandi club d’Europa e l’UEFA. La Super League nasce per trucidare senza esitazioni la Champions, che rimarrebbe svuotata di valori e di campioni. Siamo sicuri che la “sporca dozzina” voglia accollarsi le conseguenze di questa rivoluzione?

Vignetta che fa pensare… (fonte: Twitter Charlie Comics)

L’impressione è che stiamo assistendo a un gioco delle parti, come accade nella politica internazionale. Avete presente quando il dittatore nordcoreano lancia i suoi missili balistici e gli americani spostano truppe in Corea del Sud? Ecco sta accadendo qualcosa di simile: i 12 e l’UEFA stanno sparando missili a media e lunga gittata ogni giorno. Alla fine, però, l’impressione è che si arrivi a una tregua, a un accordo, a qualcosa che metterà tutti d’accordo.

L’UEFA minaccia, ma non può permettersi di perdere a cuor leggero tutto il gotha del calcio europeo. I 12 minacciano, ma non potrebbero sostenere le sanzioni che Nyon è pronta a imporre. L’ho accennato poco fa, siamo al gioco delle parti e lo scenario più prevedibile è racchiuso in un accordo, al momento solo verbale, che le due parti sarebbero pronte a firmare. “La sporca dozzina”, a cui si aggiungeranno altre squadre, è disposta a fare un passo indietro a patto di avere garanzie di partecipazione alla Champions League indipendentemente dai risultati ottenuti nei rispettivi campionati.

Questo è il punto di partenza attorno al quale costruire una trattativa tra le parti. In un’epoca in cui è evidente la crisi delle ideologie, in cui è chiaro il ridimensionamento della militanza politica, e dove perfino gli atteggiamenti religiosi soffrono di mancanza di prospettive, il calcio è la sola grande religione praticabile. Ma la religione ha bisogno di fedeli, quelli che oggi hanno bocciato, in tronco, qualsiasi fuga in avanti dei 12 ribelli.

Articolo scritto da Luigi Guelpa


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Fonte immagine di copertina: Twitter Barça Worldwide

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