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Ragionamenti sul Pallone d’Oro

Il Pallone d’Oro è un premio che fa discutere. Sempre. Noi proviamo a darvi un nostro punto di vista e a ridimensionarlo.

In principio fu “Sir” Stanley Matthews, nel 1956. Alle sue spalle Alfredo Di Stefano e Raymond Kopa. Da quella lontana prima edizione, non è trascorso un solo anno senza il premio ideato da France Football, almeno fino al 2020, causa pandemia. Il Pallone d’Oro è argomento di discussione, alla stessa stregua degli Oscar per il cinema.

Polemiche, come se l’arte potesse essere classificata, sminuita a gara individualistica, quando invece una squadra di calcio, così come un film, verte su un insieme di dettagli che non possono essere divisi.

Certo, alle volte un giocatore, così come un attore, può elevarsi sugli altri individui, rappresentando un’eccellenza, come nel caso di Joaquin Phoenix in “Joker” o Ronaldinho nel Barcellona del 2005, ma spesso noi tutti tendiamo a dare troppa importanza a questi riconoscimenti, prendendoli non come premi al merito, ma come sublimazioni assolute ed intoccabili.

Io contesto

Andando oltre il concetto di gara, inteso come gioco del mescolare carte diverse di uno stesso mazzo, è possibile mettere in correlazione un attaccante devastante, Robert Lewandowski, un difensore decisivo, Sergio Ramos, e un centrocampista elegante, quale è Luka Modrić? Soprattutto, perché, dall’istituzione del riconoscimento, sono stati premiati appena tre difensori ed un solo portiere?

Perché chi fa gol alimenta l’isteria di massa molto più di chi li evita, il numero Dieci è il numero del Calcio, ma esiste anche un’arte che deve andare forzatamente in controtendenza, legata alla difesa della propria area e dei propri pali. La tradizione italiana dovrebbe aver insegnato qualcosa, nella storia del gioco, quindi, la domanda sorge spontanea: perché bistrattiamo tanto il Pallone d’Oro del 1996, consegnato a Matthias Sammer?

Punto primo: perché non riusciamo a concepire che un solo azzurro, Fabio Cannavaro, sia riuscito ad aggiudicarselo, tra l’altro tra le polemiche, perché tanti volevano finalmente un portiere, senza rendersi conto che il premio al Capitano mondiale sarebbe stato il primo per un difensore italiano.

Punto secondo: chi non riesce ad esprimersi al meglio nel nostro campionato, soprattutto negli anni Novanta, forse non vale così tanto: tipica mentalità provinciale di chi pensa di essere migliore degli altri nei secoli dei secoli. Sammer all’Inter non andò male, ma dovette sopportare il fardello delle vedove, ovvero il fatto di sostituire un altro tedesco: Lothar Matthaus. Sorvoliamo sul fatto che non sapesse parlare una parola d’italiano e che non riuscì quindi ad inserirsi, rimanendo a Milano appena sei mesi.

Punto terzo: quando accecati dal bagliore del campanile, diventiamo ipocriti. Sammer, solitamente schierato a centrocampo, agli Europei del 1996 giocò da libero per sopperire alla mancanza di Jürgen Kohler. Fu eletto miglior giocatore della manifestazione e la Germania vinse il suo primo titolo dopo l’unificazione. Cosa diede maggior fastidio, oltre alla solita retorica dei Baresi e dei Maldini? Il fatto che in lizza ci fossero Alex Del Piero e Gabriel Batistuta, che militavano in Serie A.

Sproloquio finale

Riproponendo il paragone tra calcio e cinema, non sarebbe meglio considerare l’ipotesi di un premio per categorie, sullo schema dei Golden Globes, i quali distinguono tra Miglior film drammatico e Miglior film commedia/musicale?

Sarebbe un buon metodo per dare la possibilità di valorizzare ogni categoria, senza sminuire nessuno.

Molti di voi staranno pensando a quanto sia inutile questo articolo, che tanto non accadrà mai e che, in fondo, va bene così com’è.

A tutti piacciono i premi. Al sottoscritto piacciono i premi e, soprattutto, anche chi scrive non vede l’ora che arrivi la notte degli Oscar o l’assegnazione del prossimo Pallone d’Oro. Allora, qual è il succo del ragionamento, farvi domande con il solo scopo di attivare una parvenza di pensiero?

I premi servono per alimentare l’ego dei candidati e di tutti gli appassionati delle loro azioni, robe del tipo: ” Ehi, ha vinto quel premio. Che ti dicevo, è il migliore!”

Un premio non è che il punto esclamativo che serve alle persone per dire che quello lì è sicuramente bravo, e nessuno lo mette in dubbio, ma in realtà, una statuetta, tralasciando il potere economico e d’immagine, non può essere presa in considerazione come simbolo assoluto di grandezza. Questo è l’errore di valutazione che commettiamo, perché tendiamo a dar potere ad un singolo istante, una premiazione, invece che ad una stagione intera.

Personalmente, Angel Di Maria e “Arancia Meccanica” hanno più di qualcosa in comune, perché rappresentano la capacità di esprimere la propria arte al meglio, scavando nell’intimità dell’animo umano: el Fideo ci colpì con finte, assist e stordente bellezza, Stanley Kubrick a colpi di violenza cinematografica, ponendo quesiti filosofici che l’Academy non colse, così come la giuria del Pallone d’Oro non ebbe il coraggio di premiare l’importanza tattica e tecnica dell’argentino.


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Fonte immagine di copertina: sky.it

https://sport.sky.it/calcio/europei/2021/07/11/jorginho-italia-pallone-d-oro

Di Luigi Della Penna

Classe 1996, mi definisco un cacciatore di storie e un mendicante di emozioni. Il calcio è vita, ma un'esistenza senza football non sarebbe la stessa cosa.

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