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Europei Nazionali

Simon Kjaer non è un eroe, ma uno di noi

Simon Kjaer, uomo vero e capitano. Ma non eroe epico come in molti lo hanno descritto. Qui spieghiamo meglio la vicenda Eriksen da un punto di vista sanitario.

Danimarca-Finlandia sembra una partita come tante. È l’esordio dei finnici in un Europeo, c’è tanta emozione per loro, ed è forse per questo che sono i cugini danesi a fare la partita. Manca poco alla fine del primo tempo. Palla troppo lunga in area per Christian Eriksen, un difensore finlandese la spazza in fallo laterale. Il n°10 non è riuscito ad intercettare il tiro e si trascina verso il fondo del campo, poi gira a sinistra e inizia la rincorsa per andare verso la fascia da dove sta per partire un rinvio. E invece no: affanna. No, peggio: lo sguardo è vuoto. Si trascina ancora, fa qualche passo scomposto e poi si accascia a terra, sul fianco destro. È questione di attimi.

Da un altro punto di vista

I compagni più vicini e l’arbitro intuiscono subito che qualcosa non quadra perché, come ti insegnano alle lezioni di primo soccorso, a rapida occhiata (in gergo tecnico “quick look”) il corpo non mostra segni di vitalità. Subito chiamano il medico alla parte opposta del campo. Intanto il connazionale Simon Kjaer si inginocchia su di lui e già mezz’ora dopo le pagine web di testate e social scrivono che gli avrebbe infilato una mano in bocca per spostare la lingua. Sgombriamo il campo subito dai dubbi perché è forse la prima cosa che gli istruttori di BLS-D (ossia le manovre salva-vita) ti dicono di non fare.

Potremmo ipotizzare che si sia limitato ad aprirgli la bocca per aiutarlo a respirare, ma se avesse davvero usato le dita avrebbe sbagliato. Intanto arrivano i sanitari e Kjaer e Schmeichel invitano i propri connazionali a disporsi a mo’ di muro, a protezione del loro compagno, per sottrarre il più possibile la scena di intervento dagli obiettivi invadenti di telecamere, fotocamere e cellulari. “Christian mi senti? Come va?” Ma Eriksen non risponde, ha lo sguardo fisso e inespressivo, il polso flebile ma presente e per fortuna respira. Anche questo te lo insegnano: in presenza di respiro e polso la persona va messa in posizione laterale di sicurezza (che è quella in cui è in quel momento – su un fianco).

Vengono rilevati i parametri e si cerca di mantenere le vie aeree pervie, poi arrivano i soccorritori con la barella pronti per caricare. “Christian che succede? Christian rispondi!”. Qualcosa non quadra: Eriksen non respira più. No, peggio: non c’è più polso. Il ragazzo è in arresto cardio-circolatorio (ACC). Lo adagiano sdraiato di schiena, via la maglia, un uomo inizia il massaggio cardiaco e un altro applica le placche collegate al defibrillatore (“DAE” il nome dell’apparecchio). “…28, 29, 30!” e due ventilazioni, poi di nuovo 30 compressioni toraciche, seguite da due ventilazioni, finché l’apparecchio non inizia l’analisi. E se il ritmo è defibrillabile (ossia se è una “fibrillazione ventricolare” o una “tachicardia ventricolare”), a preciso allarme del monitor ci si stacca dalla persona e parte la scossa. Non basta, quindi si ricomincia. Tutto questo finché quel benedetto cuore non riprende a battere.

Simon Kjaer non è stato l’unico “eroe”

Come mai ci hanno messo tanto a sdraiarlo? Ipotizzabile un gasping, ovvero che Eriksen avesse già smesso di respirare nel momento in cui ha perso i sensi e il suo era un respiro agonico, flebile, che può aver ingannato. O forse, effettivamente, la situazione è lentamente e semplicemente evoluta in peggio. Ma in questo peggio, per fortuna, è andata bene: il cuore riprende a battere. No, anzi, non per fortuna: grazie a chi ha subito compreso la gravità dell’accaduto.

Grazie a chi ha messo in atto quella che viene definita in gergo sanitario “catena della sopravvivenza”: dei cui anelli ne sono stati eseguiti tre, fondamentali e importantissimi. Hanno capito al primo sguardo che la situazione era grave e hanno chiamato aiuto, hanno praticato la RCP con massaggio cardiaco e hanno usato il defibrillatore. Una volta stabilizzato, il giocatore è stato poi trasportato in ospedale e affidato a cure specifiche (4° anello). Christian ha ripreso conoscenza, seppure logicamente intontito dal tutto, e non è intubato come molti hanno scritto: indossa una maschera per la somministrazione dell’ossigeno (di tipo con “reservoir”).

Grazie a Simon Kjaer: è uno dei primi ad intervenire. Ha poi cercato di evitare che le vie aeree si ostruissero. Ha richiamato i compagni accanto a sé per fare scudo a quel fratello a terra. È andato dalla moglie di lui ad abbracciarla, consolarla, incoraggiarla: “Ce la farà, è forte, non può finire così”. Christian è morto per pochi secondi, ma Simon l’ha idealmente tenuto per quei capelli così corti che ha. Simon Kjaer non è un eroe: è una persona normale che ha fatto quello che qualcuno gli ha insegnato a fare. Lo abbiamo guardato, ammirato per la prontezza di nervi, alcuni invidiato perché ritenuto più capace e coraggioso di noi: ma Simon è uno di noi.

Tutti possono essere Simon, fatta logica eccezione di chi non può per svariati motivi di fisico, età o altro. Basta imparare: basta aver voglia di mettersi in gioco, per non sentirsi poi impotenti; il coraggio arriva da sé, quando poi ci si trova in un momento di disperazione. Kjaer non ha salvato la vita ad Eriksen. Ha contribuito a farlo assieme ad altri. È stato un lavoro di squadra. Ha attaccato il primo anello cui sono seguiti gli altri.

Non è un eroe. Non dategli questa etichetta così pesante da portare: è un fardello di cui si fa volentieri a meno. Simon è quello che tutti saremmo o vorremmo essere di fronte alla disgrazia che colpisce una persona (soprattutto se cara) che hai davanti; un ragazzo, anzi, un uomo che ha affrontato la paura, non ha perso il controllo e ha provato a domare un terribile destino che sembrava già scritto. Non è un eroe, ma è sicuramente l’amico e il collega che vorremmo al nostro fianco e il Capitano che ogni squadra vorrebbe avere.


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Fonte immagine di copertina: Twitter Matteo Dovellini

Di Ilaria Ciangola

Di Trento. O.s.s. in Pronto Soccorso. Groundhopper, appassionata di calcio e amante di tutto ciò che è U.K.

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