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Ødegaard e il lato migliore del calcio moderno

La bella storia di Martin Ødegaard, capitano dell’Arsenal ed ex enfant prodige del calcio mondiale, ci può insegnare qualcosa

Martin Ødegaard, in una recente intervista per The Players’ Tribune, mostra uno stile giovanile ma non particolarmente originale. Indossa una felpa nera sotto cui si intravede una maglietta bianca. Non si scorgono imperfezioni né accessori. Persino l’inglese parlato è asciutto, un linguaggio che non spreca troppe parole. Dopo qualche frase sull’Arsenal – che oggi è anche il suo Arsenal – conclude con “Penso che sia semplicemente una buona squadra che lavora bene insieme”. In un inglese perfetto, senza alcun accento a rimarcare la sua provenienza norvegese.

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Non che sia sorprendente, per un ventiquattrenne che ha vissuto più di sette anni all’estero, prima rimbalzando fra Spagna e Olanda, poi appunto in Inghilterra. Queste poche righe potrebbero essere sufficienti ad annoiare i più nostalgici fra gli appassionati di sport. Alcuni staranno pensando di aver scoperto niente di più che l’ennesima faccia pulita del calcio moderno e globalizzato.

Quelle similitudini con Beckham…

Un altro giocatore fortissimo che, per il bene della sua carriera, deve mantenere un’immagine pubblica il più semplice possibile, in cui più o meno tutti possano identificarsi. Molti calciatori cercano di costruirsi, fuori dal campo, una reputazione à la David Beckham. L’ex stella inglese è la celebrità che tutti gli uomini vorrebbero essere e tutte le donne vorrebbero sposare. Ødegaard sembra un caso di successo in questo senso.

Le affinità tra Beckham e Ødegaard non finiscono qui, anche se attengono quasi per niente al loro modo di giocare a calcio. Entrambi, pur in fasi molto diverse della loro carriera, hanno giocato per il Real Madrid. Beckham da superstar, Ødegaard come uno dei tanti talenti sedotti ma poi traditi dai Blancos.

Un altro punto di contatto è il fatto che tutti e due, da adolescenti, sono stati allenati dai rispettivi padri. Nel caso del norvegese si trattava addirittura di un ex calciatore professionista. D’altronde, nonostante la generosità di madre natura, piedi come il destro di Beckham e il sinistro di Ødegaard necessitano anche di dosi eccezionali di allenamento prima di arrivare a stupire noi comuni mortali tutte le settimane.

Un allenamento che il piccolo Martin viveva come un gioco nella sua Drammen, su un terreno che il club locale aveva trasformato in un campo di erba sintetica.

“Se mi parli di casa e infanzia, penso al campo vicino dove vivevo che è casa mia, la mia infanzia. Sono stato molto fortunato a crescere in quel periodo perché avevano appena fatto questo terreno artificiale. Prima era solo una superficie dura”.

Martin Ødegaard a The Players’ Tribune

I nostalgici di cui sopra a questo punto potrebbero sostenere che la qualità sul campo di Ødegaard sia “artificiale” tanto quanto la sua immagine pubblica. O magari tanto quanto un terreno sintetico, in questo calcio così lontano dall’epoca romantica in cui sembrava che fosse solo il talento naturale a determinare il successo di alcuni calciatori.

Schierarsi contro o a sostegno di queste idee è una decisione che spetta al lettore, ma la storia di Ødegaard può offrire un’altra chiave di lettura. Infatti, a guardar bene, anche il più perfetto dei golden boy si rivela umano, interessante, tutt’altro che omologato.

Aggrapparsi ad Ødegaard

Drammen, abbiamo detto. A guardare certe foto, sembra rappresentare fisicamente l’idea che abbiamo dei Paesi scandinavi. Edifici squadrati, un’urbanistica semplice ma efficiente, una bellezza fatta di simmetrie senza grandi colpi di scena. Il calcio di Ødegaard è più o meno così: intelligente, ordinato, efficace. Un modo di giocare forse meno appariscente rispetto alle accelerazioni di Martinelli o all’esuberanza di Saliba, ma che rende il norvegese un giocatore più funzionale di entrambi al sistema dell’Arsenal.

Nei momenti migliori dei Gunners, il talento di Ødegaard brilla di luce propria, tra gol bellissimi e ricami artistici sulla trequarti. Ma è quando i londinesi sono in difficoltà che viene davvero fuori l’importanza dell’ex madridista, in qualità di innescatore delle azioni offensive dell’Arsenal.

Che l’avversario sia più aggressivo o attendista, i compagni sanno che quando Ødegaard ha la palla basta correre. Prima o poi lui troverà il varco giusto, o magari una sua conclusione secca si trasformerà in una palla vagante da ribattere in rete.

Al di là della completezza delle sue capacità con il pallone, testimoniata dall’ottimo numero di gol e assist collezionati in carriera, Ødegaard è infatti un calciatore molto intelligente, che sa mettersi a disposizione dei compagni e fare sistematicamente le scelte giuste nell’ultimo terzo di campo (ne sarà fiero il padre, oggi allenatore nella Tippeligaen, la massima serie norvegese).

Crescere

Più che sulle abilità tecnico-tattiche, per alcuni anni è sembrato che fosse sotto l’aspetto mentale che a Ødegaard mancasse qualcosa, nella costanza lungo tutta una stagione – che in fondo è la cosa principale che distingue i buoni calciatori dai campioni.

Per fare questo salto, com’è normale che sia, ci è voluto del tempo e qualche momento difficile. Qui viene fuori tutta l’umanità del ragazzo. La storia di Martin Ødegaard prima dei 16 anni è un adattamento del cliché del bambino prodigio al mondo del calcio. È il più bravo di tutti in tutte le squadre, anche se spesso fortemente sotto età (è diventato il più giovane debuttante di sempre in Tippeligaen a 15 anni e 118 giorni).

Sempre a causa della già citata globalizzazione del calcio, è ormai raro che un talento del genere passi inosservato. La stagione 2013-14 è la prima che Ødegaard gioca in pianta stabile nel Strømsgodset, tra i grandi. A dicembre 2014, lo stesso mese in cui compie 16 anni, ha l’opportunità di allenarsi in prima squadra con Liverpool, Bayern Monaco e Real Madrid.

Il mese successivo sceglie proprio gli spagnoli, all’epoca campioni d’Europa in carica, ricevendo una valutazione da 2,8 milioni di euro. In chiave puramente psicologica, il passaggio ai Galacticos è la prima situazione “normale” della carriera di Ødegaard. Finalmente una rosa in cui non è il più bravo di tutti. D’altra parte, sarebbe stato una follia aspettarsi qualcosa di diverso mettendo un minorenne nella stessa squadra di Modrić, Cristiano Ronaldo, Benzema e tutti quegli altri – infatti il Madrid comprende presto che sia meglio lasciare Ødegaard nelle giovanili.

Resta però una situazione nuova, probabilmente non semplicissima da gestire, nella testa di un adolescente. Sommando questo alle difficoltà di vivere in un Paese nuovo, con tutte le pressioni che derivano dal giocare per il Real, verrebbe quasi da ringraziare il cielo che Ødegaard sia fiorito ad alti livelli e non sia finito dentro un altro cliché, quello del talento sprecato.

“Penso che le cose che mi sono capitate in quegli anni a Madrid, trasferirmi lì, imparare una lingua nuova, affrontare un periodo difficile, sono tutte cose che mi hanno reso un calciatore e una persona migliore, e anche più sicuro di me”.

Martin Ødegaard

Altroché: col senno di poi Ødegaard non solo è sopravvissuto alle difficoltà del calcio moderno, ma come dicevamo all’inizio sembra aver assunto i tratti ideali per raggiungere e mantenere lo status di top player molto a lungo.

Per farlo, è passato attraverso sette stagioni e quattro prestiti, gradualmente migliorando il livello dei club coinvolti e delle sue prestazioni. Dall’Heerenveen al Vitesse in Olanda, poi la Real Sociedad in Spagna. Con i baschi anche una piccola rivincita personale, datata 6 febbraio 2020. Ødegaard segna il primo dei quattro gol con cui i biancazzurri eliminano il Real Madrid dalla Copa del Rey, fra l’altro al Bernabéu. Sarà il primo (finora unico) trofeo vinto da Ødegaard tra i professionisti.

A gennaio 2021, dopo solo nove presenze in metà stagione con il Real, arriva la chiamata dell’Arsenal: un “prestito” da cui Ødegaard non tornerà più indietro, almeno calcisticamente. Infatti, in seguito a una convincente prima metà di stagione con i Gunners, ad agosto 2021 i dirigenti di Arsenal e Real Madrid trovano l’accordo per il trasferimento a titolo definitivo di Ødegaard a Londra, dopo che Ancelotti ha sostanzialmente escluso il ragazzo dai suoi piani.

Ødegaard si è preso i Gunners

I numeri sono sufficienti a raccontare il resto della storia. Nelle ultime due stagioni ha totalizzato 16 gol e 11 assist in 61 presenze in Premier League, per una contribuzione ogni 180 minuti circa giocati. La parabola dell’Arsenal di Mikel Arteta – amore a prima vista con Ødegaard – nel frattempo ha seguito un percorso molto simile a quello del centrocampista offensivo norvegese. Fino a poco tempo fa sembrava la solita squadra squadra bella e fragile, incompiuta nonostante alcuni picchi altissimi. Quest’anno, invece, il grande salto di qualità nella continuità del rendimento.

Forse è per questo che l’estate scorsa Arteta ha scelto proprio Ødegaard come nuovo capitano dell’Arsenal, dopo le partenze di Aubameyang e Lacazette. Nella sua esperienza, il norvegese aveva già dovuto sviluppare molto le sue qualità psicologiche. E probabilmente per natura ha una certa predisposizione a fare ciò che fanno i leader: spingere gli altri a migliorare quelle stesse caratteristiche, facendosi riferimento di uno spogliatoio che è cresciuto abbastanza da potersela giocare alla pari coi titani del Manchester City (quattro campionati vinti e un secondo posto negli ultimi cinque anni).

Ødegaard con l'Arsenal
Capitan Ødegaard (fonte immagine: Instagram Martin Ødegaard)

Eppure a inizio anno molti, e forse Arteta stesso, sarebbero stati soddisfatti “solo” di un posizionamento finale tra le prime quattro, riportando l’Arsenal in Champions League, dove il club non partecipa dal 2017. D’altra parte è ciò che Ødegaard faceva già da ragazzino: andare oltre le aspettative, battere record, emozionare attraverso il calcio. Eppure anche il più “artificiale” fra i golden boy del calcio moderno ha avuto bisogno di sapersi mettere in discussione per arrivare al livello più alto. La sua corsa ai massimi livelli è appena iniziata, ma a questo punto sarà davvero difficile non fare il tifo per Martin Ødegaard.


Immagine di copertina realizzata da PSM Sport, base tratta dall’Instagram di Ødegaard

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