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Un Ryan Giggs personale

Ryan Giggs è una leggenda del calcio mondiale e simbolo del Manchester United. Una guida, uno stile impeccabile, sempre e comunque a modo suo, senza dover abbassare la testa.

Reach out and touch faith
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who’s there

Personal Jesus, Depeche Mode

In effetti, ognuno di noi potrebbe essere il Cristo, o mettendola in termini più spicci, una guida per un’altra persona, un manuale di istruzioni dalle pagine già scritte da qualcun altro. *

Ryan Giggs, con la maglia del Manchester United, è stato molto di più. Vedete, ogni appassionato di sport ha, almeno una volta nella sua vita, pregato il proprio Dio, non necessariamente ultraterreno, affinché le cose vadano per il verso giusto: un rigore concesso all’ultimo secondo, un gol con la punta del piede a metri zero dalla porta avversaria, un tiro pazzesco da quaranta metri. Cose del genere.

Ryan, da piccolo, aveva un modello: suo padre, mister Danny Wilson, giocatore di rugby nel RCF Cardiff, ma c’era un problema legato al rapporto tra i suoi genitori, perché, se da un lato suo padre sprigionava carisma da vendere quando giocava, fuori dal campo alzava un po’ troppo il gomito e succedeva che poi picchiasse la madre del giovane Ryan, la signora Lynne Giggs.

Una situazione straniante, al giovane Ryan non piaceva affatto che sua madre venisse umiliata. No, non era un buon padre quello. Quando indossava la maglia della sua squadra poteva essere il miglior essere umano sulla faccia della terra, ma al di fuori era a dir poco assente.

Nel 1989, quando Ryan compie sedici anni, diventando così maggiorenne, cambia il cognome in Giggs. Wilson non gli appartiene, Wilson è il passato. “Non voglio essere come lui“, sembrerebbe dire, “Sto dalla parte di mia madre”.

Giggs ha avuto un padre per il resto della sua vita, una guida tangibile, saggia e allo stesso tempo tosta. Mister Alex Ferguson rimase estasiato fin dalla prima volta in cui incrociò la cavalcata del giovane Ryan, allora tredicenne, elogiandone la velocità, la tecnica, l’eleganza. Ferguson si rivela fondamentale anche fuori dal campo: “Per qualunque cosa, io sono qui.”

The Legend

2 marzo 1991, Old Trafford, l’Everton si impone due a zero sui Red Devils, Ryan esordisce in prima squadra, entra a dieci minuti dalla fine del primo tempo in sostituzione di Denis Irwin. Indossa la maglia numero 14. Dice qualcosa ai compagni, dando fin da subito la sensazione di non avere assolutamente paura del grande salto nel Teatro dei Sogni, il cui manto erboso è ridotto ad un pantano. Ryan, nonostante l’Everton abbia raddoppiato dopo il suo ingresso in campo, gioca senza paura, avrebbe la palla buona per segnare, ma l’inesperienza, la voglia di urlare al mondo “Sono qui!” lo inducono all’errore.

In un grigio pomeriggio di marzo, in un incontro del tutto dimenticabile, inizia la leggenda di Ryan Giggs. Quello che è per molti il più grande giocatore nella storia del Manchester United. Ma la grandezza del gallese non è riconducibile ai soli e nudi trofei. Giggs è, nella storia del football di Sua Maestà, colui che ne ha vinti di più, 37 in totale. No, è stato molto di più, perché è il messaggio che ha lasciato nelle vittorie che rende affascinante il suo percorso.

Un tessitore di bellissime realtà, le quali lambiscono il mondo dei sogni e si concretizzano nella sua visione del Gioco. Prendete la rete all’Arsenal, nel replay della semifinale di FA Cup: non è forse il gol che chiunque vorrebbe segnare, dribblare mezza squadra avversaria con giocate di tecnica finissima per poi vincere la partita?
Non è forse suo il passaggio a Teddy Sheringham, in quella finale che lo United aspettava dal 1968, nel momento in cui tutti avevano perso la speranza, quando il pallone era appena uscito dall’area bavarese e le speranze erano naufragate?

Cogli la rosa quando è il momento.

Alcuni uomini hanno vita di quieta disperazione, altri invece sono come Ryan perchè provocano disperazione negli avversari, grazie alla loro quiete da leader.

Mosca, 21 maggio 2008, il Chelsea è scivolato insieme al suo capitano e simbolo, John Terry, lo United rimane in corsa. Ryan deve battere il settimo tiro dal dischetto.

Non sbaglia.

Un condottiero solo può cadere in una battaglia e il tonfo è già accaduto.

Il sinistro del numero Undici risulterà decisivo, Edwin van der Sar para il rigore di Anelka.

Cade la pioggia, la storia si è compiuta, Manchester United campione d’Europa per la terza volta.

Ultime considerazioni

Ognuno di noi meriterebbe un Ryan Giggs personale che ci tiri fuori da guai, che bussi alla nostra spalla e ci dica: “Ehi, don’t worry!”

Già, Ryan, tanto forte con un pallone tra i piedi quanto fragile alle tentazioni nella vita privata, in una sorta di congruenza con il padre, modalità diverse, ma che, alla fine, ci dicono quanto la vita, alle volte, si riveli decisamente contorta.

Non staremo qui a giudicare nessuno, ognuno è artefice del proprio destino. Una cosa, però, sarebbe sacrosanto scriverla: la Classe del ’92, uno dei pilastri su cui poggia la storia del Calcio, aveva in Ryan il suo elemento migliore, capace di abbattere record, vincere a modo proprio in tutto il mondo, senza mai abbassarsi a condizioni che non gli appartenessero, rinverdendo i fasti dello United degli anni Sessanta e onorando la memoria di quei ragazzi, i Busby Babes, che tanto promettevano bene.

Uno dei pochi sopravvissuti, un tale Bobby Charlton, divenne primatista di presenze e leggenda con quella maglia. Nel 2008, però, qualcuno lo superò. Non sto a spiegarvi chi, lo avrete già capito.

Ryan Giggs, come te, nessuno mai.


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Fonte foto di copertina: https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Giggs_ryan.jpg#mw-jump-to-license

Autore: Ray Booysen da Londra, Regno Unito, Fonte: Manchester United-Chelsea

Di Luigi Della Penna

Classe 1996, mi definisco un cacciatore di storie e un mendicante di emozioni. Il calcio è vita, ma un'esistenza senza football non sarebbe la stessa cosa.

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