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Radamel Falcao e la caduta della “Tigre”

Radamel Falcao: un campione, un attaccante fantastico. Almeno fino al 2014, l’anno che, secondo tutti gli amanti del gioco, doveva consacrarlo come campione assoluto. Il destino, però, ha voluto altro.

Uno dei più grandi attaccanti degli ultimi dieci anni. Radamel Falcao è uno di quei centravanti dotati di garra e colpi spettacolari che tanto solleticano la fantasia collettiva, il classico giocatore ben voluto dalla maggior parte dei tifosi, almeno fino a quel maledetto 22 gennaio 2014, quando, con la maglia del Monaco, imbocca involontariamente la prima porta girevole della sua vita: rottura del ginocchio sinistro, stagione finita, addio Mondiale e, siamo sicuri, con lui in campo come numero 9, la Colombia avrebbe battuto il Brasile.

Ragazzi, che spettacolo

La versione 2.0 di Hugo Sanchez, così ne parlava Jorge Valdano. Un attestato di stima degno di essere tenuto in considerazione, specie se chi parla ha giocato con Hugol e conosce molto bene la materia in questione. Hugo Sanchez, almeno fino all’arrivo di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, era il secondo marcatore di sempre della Liga, dietro Telmo Zarra, e il primo straniero all time con 234 reti distribuite tra Real, Atletico e Rayo Vallecano.

Al Porto, El Tigre aggiorna, davanti agli occhi del mondo, cosa significhi il concetto di attaccante inarrestabile, riesce a segnare praticamente in ogni modo: colpo di testa, destro, sinistro, tocco ravvicinato, tiro dalla distanza, rovesciata, di tacco, ma non con la palla bassa, no. Chiedete al Benfica.

Risulta splendido nella sua figura atipica, sembra provenire da un’altra epoca, così distante dagli attaccanti che popolano l’immaginario degli anni Dieci del Duemila.

L’Europa League 2010-2011 risulta un compendio delle sue grandi capacità realizzative: 17 gol, record per una singola edizione. I quattro colpi inflitti al Villarreal, nella semifinale d’andata terminata 5-1, sono entrati a pieno diritto nella galleria d’arte del football di questo millennio: il primo quadro è un calcio di rigore, il secondo un tocco ravvicinato, figlio di un’attenta lettura dell’azione che stava prendendo forma. Il terzo ed il quarto provengono dall’anima del colombiano e incidono per sempre lo stile del Tigre, soprattutto il terzo, un’incornata che lancia l’attaccante nell’aria di Oporto e lo consacra nell’empireo del gioco aereo. Il quarto è meno acrobatico, ma non per questo possiede una bellezza inferiore.

L’avvitamento in finale, contro lo Sporting Braga, è qualcosa di molto simile. Il Padrone dell’area piccola ha mietuto l’ennesima vittima. Il Porto è in trionfo. Radamel Falcao viene acclamato da tutti.

Gloria per Radamel Falcao

Nell’estate del 2011 si trasferisce all’Atletico Madrid e trova Diego Simeone, con cui ha vinto, ai tempi del River Plate, il Clausura 2008.

Con la maglia dei Colchoneros, è un giocatore da orgasmo, ha alzato l’asticella: un conto è imporsi in Portogallo, un altro è diventare una colonna della Liga spagnola, il campionato migliore al mondo insieme alla Premier League, con sfidanti come il Real Madrid e Barcellona, con giocatori come CR7, Di Maria, Benzema, Messi, Iniesta, Xavi.

Vince la seconda Europa League, questa volta mettendo a segno una doppietta in finale, contro l’Athletic Bilbao di Bielsa e, come se non bastasse, rifila un’indimenticabile tripletta al Chelsea nella Supercoppa europea del 2012.

Non è un attaccante qualsiasi, sarebbe riduttivo definirlo il “Numero 9 di quel momento”: Radamel Falcao è stato un grande centravanti nel periodo storico in cui la sua categoria sembrava destinata all’estinzione, tra falsi nueve e rivoluzioni. In un Atletico non ancora pronto al grande passo, rappresenta l’anello di congiunzione con le grandi di Spagna.

La caduta della Tigre

Quando nel 2013 si trasferisce nel Principato di Monaco e trova un ambiente ambizioso, pronto a mettere i bastoni tra le ruote al PSG, gli appassionati si sfregano le mani.

La stagione porta al Mondiale dei Mondiali e la Colombia è davvero una gran bella squadra, sta esplodendo il talento di James Rodriguez e Radamel è un centravanti che passa una volta ogni tanto dalle parti di Bogotà.

Tutto troppo bello per avere un lieto fine.

Il 22 gennaio del 2014, in una partita di Coppa di Francia che non avrebbe dovuto giocare, contro il Monts Or Azergues, avviene l’unica cosa che non sarebbe mai dovuta accadere: in un capolavoro della crudeltà, Falcao, in un colpo solo, dice addio alla stagione, al Mondiale, all’essenza del suo gioco.

Non riuscirà mai a riprendersi del tutto.

La risalita è dura

“Fu il momento peggiore della mia carriera, dopo l’operazione avevo pensato addirittura al ritiro.”

Un uomo messo a terra dal destino, ma che intende rialzarsi immediatamente, solo che le cose non vanno esattamente come prevede: da quel fatidico 2014, l’anno che avrebbe dovuto sancire la sua definitiva maturazione, inizia la diaspora della tigre ferita, tra Manchester United e Chelsea non ne imbrocca una, all’Old Trafford non lega con Louis van Gaal, con i Blues subisce un altro grave infortunio. Riprova al Monaco e sembra ritrovare la grandezza ormai perduta, segnando 21 goal nella stagione 2016/2017, quella dello scudetto. Soprattutto, riesce a giocare, da leader e capitano della Colombia, il Mondiale russo del 2018, uscendo solo ai rigori agli ottavi contro l’Inghilterra. Ma Radamel Falcao non è stato più quella tigre che suscitava timore agli avversari.

Passare da Rambo dell’area piccola a pacco rotto, un destino segnato dagli infortuni, costretto per necessità a cambiare il suo modo di giocare e di applicare calcio: da centravanti classico a punto di riferimento a tutto tondo per il reparto offensivo, tra sponde, giocate di fino, assist, senza far mancare il giusto apporto in chiave realizzativa.

In Turchia, forse, ripensa al periodo della gloria, distante appena sei anni, una gloria che è ormai evaporata in una nuvola di rimpianti.


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Fonte foto di copertina: Instagram Radamel Falcao

Di Luigi Della Penna

Classe 1996, mi definisco un cacciatore di storie e un mendicante di emozioni. Il calcio è vita, ma un'esistenza senza football non sarebbe la stessa cosa.

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