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1999: cambiò tutto per il Manchester United

Nell’aprile del 1999 Alex Ferguson e i suoi ragazzi non avevano ancora capito che da lì a poco la storia del Manchester United e del football britannico sarebbe cambiata radicalmente.

Manchester era una città che si apprestava ad entrare nel nuovo millennio in sordina, ancora scossa dai disagi che le politiche thatcheriane avevano causato alle aree urbane composte in massima parte da operai. Le pinte di porter e stout scorrevano a fiumi per dissetare i lavoratori al ritorno dai loro turni in fabbrica e i fratelli Gallagher, alle prese con le registrazioni di “Standing on the shoulders of giants“, chetavano le voci su un possibile scioglimento degli Oasis. In questo contesto proletario le poche occasioni di svago erano offerte, oltre che dalle generose bevande fornite dai publicans, dalla domenica pomeriggio allo stadio. Old Trafford per i Red Devils nell’anima, Maine Road per i Citizens. Mentre questi ultimi cominciavano un percorso che da lì a poco li avrebbe riportati nella giovane Premier League, il Manchester United di Sir Alex si trovava a competere su due fronti con un Arsenal all’apice della sua grandezza.
I ragazzi di Wenger, campioni in carica, avevano dato addio a David Platt e Ian Wright durante l’estate, ma il mercato aveva portato con sé l’esterno svedese Freddie Ljunberg e l’attaccante nigeriano Nwankwo Kanu.

Le origini del mito del Manchester United

L’11 aprile, ad Highbury, si scrisse la prima pagina di un capitolo meraviglioso.
Eleganti, carismatici e affascinanti, con il favore della regina Elisabetta, i Gunners scendevano in campo nel loro stadio per affrontare i diavoli rossi, brutti, sporchi e cattivi.
La partita, valevole per la semifinale di FA Cup, è ancora oggi un dolce ricordo nei pub di Manchester e un incubo da affogare in abbondante birra scura per i sostenitori dell’Arsenal.

La compagine di Ferguson, ridotta in dieci uomini per l’espulsione di capitan Keane, era riuscita a trascinarsi fino al novantesimo e sperava nel fischio finale per poter rifiatare. A pochi secondi dalla fine, invece, un’entrata scellerata di Phil Neville su Ray Parlour in area di rigore lasciava presagire che il destino avesse in mente qualcosa di diverso. Calcio di rigore per l’Arsenal e Bergkamp sul dischetto, a caccia dell’ennesima doppietta stagionale dopo il goal segnato venti minuti prima. L’olandese calciò con sicurezza aprendo il piattone destro, cercando di piazzare il pallone alla sinistra del portiere.

Fortuna e abilità

Sembrava fatta, ma dal nulla comparve la manona di Schmeichel ad infrangere i sogni dei Gunners.

Onestamente fu una parata fortunata, non avevo studiato il suo modo di calciare” commenterà il portierone danese in seguito. “E alla fine, dopo battaglie di questi livelli, quel singolo colpo di fortuna può fare tutta la differenza.”

Esausti, i ventuno uomini in campo approcciarono i supplementari guidati dalla pura volontà di prevalere sul rivale. Queste erano le sfide tra i Red Devils e l’Arsenal all’alba del nuovo millennio: scontri epocali tra i due titani egemoni del calcio d’oltremanica. Battaglie senza quartiere, con scontri a centrocampo, schermaglie tra attaccanti e difensori e tante venature di classe genuina. Un colpo di testa di Bergkamp sventato magistralmente da Schmeichel tenne sospeso il fiato degli spettatori per il gran finale.

A dieci minuti dalla fine Ryan Giggs intercettò un passaggio di Vieira all’altezza del centro di centrocampo e cominciò la sua corsa solitaria.  Wenger e Ferguson stavano per assistere al goal più bello della competizione, il primo sgomentato, il secondo in un’esplosione di gioia incontenibile.
Il folletto gallese penetrò come burro nella difesa dell’Arsenal, scartando quattro giocatori in rapida successione prima di scagliare un siluro alle spalle di un incredulo Seaman. 2-1, Manchester United in finale.

Ten more to win the treble

Il primo a realizzare di poter fare la storia fu Dwight Yorke, acquistato in estate dall’Aston Villa e inizialmente fuori dai progetti di Ferguson. Il tecnico scozzese sognava infatti un colpo dalla Serie A, dove aveva messo gli occhi sul giovane Patrick Kluivert del Milan e su Gabriel Batistuta, idolo della Fiesole. Ad ottobre però l’attaccante di Trinidad giocò per la prima volta al fianco di Andy Cole, ponendo le basi per una partnership leggendaria.  Solo in quella stagione avrebbero sfornato 53 goal, regalando tante altre gioie ai tifosi nei tre anni a venire.
Negli spogliatoi, Yorke iniziò ad incitare i compagni: “Ten more to win the treble!” Ancora dieci partite, per entrare nella storia.

Nessuna squadra inglese aveva mai vinto campionato, coppa nazionale e Champions League nella stessa stagione. Il treble era impresa lontana, riuscita a due outsider come il Celtic del 1967 e al PSV del 1988 e al grande Ajax di Cruyff. Eppure, dopo aver superato in dieci uomini lo scoglio Arsenal, nulla sembrava più impossibile.

A Torino, per il ritorno della semifinale di Champions League contro la Juventus, Roy Keane sfoderò una delle più grandi prestazioni della sua carriera. La grinta, il carisma e la voglia di vincere del centrocampista irlandese furono determinanti per colmare le due reti di svantaggio accumulate nei primi minuti, e un suo perentorio stacco di testa diede il via alla rimonta. A completarla pensarono i soliti Yorke e Cole, i Calipso Boys. Il punteggio complessivo di 4-3, comprensivo dell’1-1 dell’andata ad Old Trafford, proiettò il Manchester United direttamente in finale. Ad attendere i Red Devils al Camp Nou di Barcellona l’ostacolo più grosso: il Bayern di Hitzfeld.

One down, two to go

A maggio, la corsa per il titolo in Premier si sarebbe fermata solo all’ultima giornata. Lo United si preparava ad affrontare il Tottenham in casa, mentre l’Arsenal ospitava l’Aston Villa. Un goal di Les Ferdinand a bruciapelo diede rinnovata speranza ai Gunners, ma il pareggio di Beckham e il goal di Cole nella ripresa consegnarono l’ambito trofeo nelle mani dei Red Devils. “One down, two to go.”

La settimana successiva arrivò anche la seconda coppa: i goal di Sheringham e Scholes neutralizzarono il Newcastle di Shearer e portarono a Manchester anche la FA Cup.
Mancava ora solo il traguardo più importante, che per Ferguson era diventato una vera e propria ossessione. “L’Europa era diventata una crociata personale” scrisse il leggendario allenatore. “Sapevo che non sarei mai stato ritenuto un grande manager se non avessi vinto la Coppa dei Campioni.” Tutto era pronto per la finale.

A Barcellona, Ferguson avrebbe dovuto fare a meno di Keane e Scholes, entrambi squalificati, e dovette perciò schierare un centrocampo innovativo. Beckham al centro insieme a Nicky Butt, lo svedese Jesper Blomqvist sulla sinistra e Giggs a destra. Blomqvist era uno dei volti nuovi, arrivato in estate dal Parma di Ancelotti per 4,4 milioni di sterline.

L’altro acquisto estivo, insieme ai sopraccitati Blomqvist e Yorke, fu l’arcigno difensore centrale Jaap Stam, prelevato dal PSV Eindhoven per 10,75 milioni e subito divenuto un idolo della tifoseria per il suo carisma e la sua ferocia in campo. In finale, Stam fu schierato al centro della difesa a fianco del norvegese Ronny Johnsen. Questi, coadiuvati dai terzini Gary Neville a destra e Denis Irwin a sinistra avrebbero dovuto assicurare la protezione necessaria all’imponente portiere Peter Schmeichel. In attacco, gli immancabili Calipso Boys.

La finale

L’inizio arrembante del Bayern sorprese i Red Devils, che pure avevano affrontato i bavaresi già nella fase a gironi, e dopo soli sei minuti un calcio di punizione di Mario Basler terminò la sua corsa alle spalle di Schmeichel. Il Manchester United non trovò una reazione immediata: con il passare dei minuti sembrava anche che il Bayern fosse sul punto di dilagare. Scholl colpì un palo, e una spettacolare rovesciata di Carnsten Jancker si stampò sulla traversa.
Nell’intervallo, Ferguson pronunciò forse il discorso più importante della sua carriera:

Se perderete, potrete passare ad un metro da quella coppa, ma senza toccarla. E vi odierete, odierete quel pensiero per il resto dei vostri giorni. Fate di tutto per non perdere, e non osate tornare qui senza aver dato tutto quello che avete in corpo.”

Sir Alex Ferguson

Eppure, con tre scarni minuti di recupero a disposizione e il Bayern ancora in vantaggio di una rete, sembrava proprio che la coppa stesse per tornare a Monaco. Il Presidente della UEFA Lennart Johansson si era già alzato per complimentarsi con i giocatori e il suo collega Gerhard Aigner era in procinto di legare i nastri rossi e blu alla Coppa.

But they never give in… And that’s what won it

22 secondi dopo, un calcio d’angolo di Beckham trovò la deviazione vincente di Teddy Sheringham. 1-1 e 50.000 tifosi impazziti sulle gradinate. Mai scrivere la parola fine in anticipo.
Un minuto dopo il Manchester United si aggiudicò un altro calcio angolo. Nuovamente Beckham sul punto di battuta, altro tocco di Sheringham, questa volta sui piedi di Solskjaer. “Beckham, into Sheringham, and Solskjaer has won it.

Camp Nou in delirio, giocatori del Bayern a terra disperati e la Manchester proletaria, guidata dalla leggendaria classe del ’92, in Paradiso.
Dopo un’ora di festeggiamenti in spogliatoio, i giocatori uscirono nuovamente nello stadio. Questa volta sfoderavano dei completi grigi di Versace, e i loro petti erano decorati dalla medaglia dei vincitori. Un giovane Beckham raccontò di non averla rimossa per giorni, neanche dopo essersi coricato.

Le celebrazioni si protrassero per tutta la notte, con i sostenitori che invasero le Ramblas del capoluogo catalano. Al ritorno in patria, Ferguson i suoi vennero accolti da oltre 750.000 tifosi e portati in processione per le strade di Manchester.
“Sento un senso di appagamento che non ho mai sentito prima d’ora” spiegò il manager scozzese “Forse il destino ha voluto che fossimo noi a vincere, forse era scritto. Ma so che le persone non dimenticheranno mai questa squadra. Ora sono delle leggende.


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Di Andrea Margutti

Aspirante scrittore, fotografo, musicista e scacchista. Piedi storti e braccia larghe in marcatura. Non si aspetta molto dalla vita, ma se potesse riavere Recoba in rosa sarebbe contento.

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